Ariosto. Parlare anzi doler con voi mi giova, Chè come al vecchio gaudio, testimonj Mi fiate ancora alla mestizia nova. Ma pria che del mio male alto ragioni, Dirè ch' io fia, quantunque de' miei accenti Vi devrei esser noto a i primi suoni, Ch' io foleva i pensier lieti e contenti Narrarvi, e mi risposero più volte I cavi lassi alle parole attenti. Pene amorose si m'abbiano afflitto; Che le prime sembianze me fian tolte. Io son quel che folea dovunque o dritto Arbor vedeva o Tufo alcun menduro, Della mia Dea lasciarvi'l nome scritto: Io son quel che folea tanto sicuro Già vantarmi con voi che felic'era: Ignaro ahimè del mio Destin futuro! S'io porto chiusa la mia doglia fiera; Morir mi sento: l'io ne parlo; acquisto Nome di Donna ingrata a quell' Altiera, Per non morir rivelo il mio cor tristo, Ma solo a voi che in gli altri casi miei Sempre mai fidi Secretarj d vifto. Quel ch' a voi dico ad altri non direi, Jo credo ben, che resteran con vui Come già i buoni, or gli accidenti rei. Quella ohimè quella ohimè da cui Con tant' alto principio di mercede Tra i più beati al Ciel levato io fui, Che di fervente amor di pura fede Di strettissimo nodo da non sciorfe Se non per morte mai, fpeme mi diede; Non m'ama più nè prezza, et odia forse E degno e duol credo che il cor le punga Che ad essermi cortese unqua fi torse: D'una notte intermessa, et ora ahi lassa 2riosto. Ne fi scus'ella, che non m'apra il passo Perchè non pofla, ma perchè non vuole, E qui si ferma, ed io supplico a un fallo. Atturarsi le orecchie, acciò placarse Non possa per dolcezza di parole. Dell' amorose lotte e a'dolci furti Le dolci notti a ritornar lon scarse; Miei vital spirti fon spesso da morte, Mi niega o dammi a forza secchi e curti. Si studian che di lor men fruir possa Poi che si fondi più piacermi accorte: Dà, per sveller la fpeme di cui vivo, Esser non può che più di me non v'ami, E me per voi prezzar non abbia a schivo, Di voi, non vi crediate: più mi fpiace Che questo troppo il vostro nome infami, Rotto abbia o sciolto il vostro amor fugace: Deveva in ogni caso, ma più in questo. Ne dopo il fatto il consigliarsi à luogo: E sebben d'ogni tempo, or non potea Se non molto parermi acre e molesto; Effer d'ingratitudine ; fe tanta lo sento per memoria di quei frutti L'errisico L'esserne privo caufa maggior lutti Poi ch' io n'è fatto il laggio, che non fora Se ayuti ognor n'avessi i labbri asciutti. D'ingrata e di crudel dar nota allora To vi potea: d'ingrata e di crudele; Ma di più dar di perfida pofl'org. Or queste fiano l'ultime querele Ch' io ne faecia ad altrui, non men segreto Vi farò, ch' io vi fia ftato fedele. O'nominato, per Dio, quanto io dico M e n z i ni. mienzini. S. B. II. S. 135. Im zweiten Bande seiner Werts ke (Venez. 1769. 4 Voll. 12.) stehen gleichfalls siebenzehn legieen, unter welchen die nachfolgende die zweite ift. Sie waren ehedem eingeln abgedrucēt, und mit einer besondern Vorrede begleitet, worin er sich den wahren elegischen Chas rafter getroffen zu haben schmeichelt. Im Sangen ist ihnen auch wohl dieß Verdienst nicht abzusprechen, obgleich der Dichter darin zu sehr bei Einem Gedanken zu verweilen, und. doch nicht immer fruchtbar und erfindungsreich, vielleicht auch nicht gefühlvoll genug, gewesen zu seyn scheint, um Ers mådung und Einförmigkeit zu vermeiden. LA SPERANZA. Sarei gran tempo in Mar crudele afforto Ella co i miei pensier nodrita infieme E fe talor gravida nube ingombra Anzi tal volta i miei desir precorre, Vedrai l'aurette alla tua vela ancelle E ful Tienzini. E sul mattin dalle celesti porte A questo lusingar l'ardita prora Più rapido del vento a i Lidi ignoti Vola il mio cuore; e neghittola, e lenta Ogni aura parmi, che pel Cielo fi ruoti. Quand' ecco con'la vista al Ciel intenta Ahimè; che pria che'l Sol giunga alla cuna, Intanto per un poco il Ciel fi tace, Ecco l'usata fpeme a me sen riede Ah speme ardita ! A che tranquille e chiare Anco a Tifi splendero il Polo e l'Orfe; Ma pur chi fa! Forse è più mite il mio Destin, che fuole intra le cofe avverse Trar lieto il fin lo fier principio, e rio. |