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E nella stessa Tommaso Castellani:

Ma quel ch' ad altri nuoce, è sol radice
Del nostro ben ec.

Nè ciò schifo Monsignor della Casa :

Repente ad altri amor dona, e dispensa (1). E Benedetto Varchi:

Ch'ad altri rado, e forse mai non feo (2). E se ne servi nelle prose altresì, dicendo nell' Ercolano: Il Robortello non ha difeso sè; pensate come difenderà altri. E altrove nel medesimo dialogo: Se ad altri voi, o M. Lelio Bonsi, le direte mai. Conobbe tutto ciò Adriano Politi, onde nella lettera al Pannocchieschi, all'oppositore che 'l contrario teneva, così rispose: Il censore s'inganna all'ingrosso, se crede che il pronome altri nel maggior numero sia del retto solamente, e non serva a tutti i casi, non solo secondo l'uso nostro di Siena, ma anco degli scrittori antichi, come ben mostra il Borghesi nella lettera al Sig. Ippolito Augustini, dove cita infiniti luoghi, a questo proposito, del Passavanti, del Boccaccio, del Petrarca, e del Casa. E così fu moltissime fiate usato dal Caro nella sua Apologia. Ed il Pergamino nella lettera dedicatoria del suo Memoriale pur disse: Non dovevano queste mie fatiche essere da me offerte ad altri, che a V. E. ec. E sempre anderà regolatamente detto ne' casi obliqui del maggior numero, purchè vi sia la compagnia dell'articolo, 0 segno del suo caso, siccome anche ne avvertì il citato Pergamino. Onde stimo aver chiarito, che non errasse il nostro poeta, usando altri nel numero del più in caso obliquo, contro la regola del censore, che volle in ciò mostrarsi seguace del Bembo.

(1) Casa, Rime. (2) Varchi, Rime.

OPPOSIZIONE XIX.

(St. 93.) « Inforsa ogni suo stato, e di lor gioco »

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Abbiamo per buona osservazione, che quando il ragionamento ha relazione ad una sola persona, il -suo relativo debba assere suo, sua, ec; e quando più persone si riferisce, relativamente abbia a dirsi loro; come per esempio: L'uccello fugge il suo nido: Gli uccelli fuggono il loro nido. Quindi fu ripreso il Castelvetro dal Muzio nelle Battaglie, ch'egli ciò osservato non avesse, avendo detto: Scrittori, che pubblicano i suoi poemi. E ne riprese parimente il Ruscelli, il quale usò così malamente il relativo. Sicchè, essendosi detto in questo luogo dal Tasso suo stato, che si riferiva agli amanti che di sopra avea nominati, di numero plurale, dicendo:

Ver gli amanti il piè drizza, e le parole; riprendevolmente fu detto, dir si dovendo loro stato.

RISPOSTA

La sposizion di questo luogo, a mio giudizio, non va come il censore s'immagina, e come altri ancora vanamente si persuasero: ed acciocchè resti ben bilanciato, anderò, per chiarezza della cosa, facendo l'anatomia a questo luogo del Tasso. Diss'egli: Fra si contrarie tempre in ghiaccio e in foco, In riso e in pianto, e fra paura e spene Inforsa ogni suo stato, e di lor gioco L'ingannatrice donna a prender viene. Cioè Armida, ingannatrice donna, ponea in forse il suo proprio stato, riferendosi il relativo suo ad Armida, terza persona singolare. Ed acciocchè più chiaramente possa dimostrare il mio parere, non mi renda spiacevole col ripetere quanto da Goffredo a lei fu detto, escludendola da' guerrieri ch'ella già dimandava:

Se in servigio di Dio, ch'a ciò n'elesse,

Non s'impiegasser qui le nostre spade,
Ben tua speme fondar potresti in esse,
E soccorso trovar, non che pietade.
Ma se queste sue gregge, e queste oppresse
Mura non torniam prima in libertade,
Giusto non è, con iscemar le genti,

Che di nostra vittoria il corso allenti.

Pur Armida, allettando poscia molti cavalieri dell'esercito Cristiano colle sue arti:

Ma mentre dolce parla, e dolce ride,
E di doppia dolcezza inebria i sensi,
Quasi dal petto lor l'alma divide,

Non prima usata a que diletti immen si;

prese qualche speranza d' ottener il suo intento; onde dicesi assai bene, che ponesse in forse ogni suo

stato.

E perchè or con dolce parlare e dolce riso allettava que' guerrieri, come si disse; ed ora colla mestizia del volto e con pupille lagrimevoli invitava i loro occhi parimente al pianto, come si soggiugne:

Stassi talvolta ella in disparte alquanto, E'l volto e gli atti suoi compone e finge, Quasi dogliosa; e in fin su gli occhi il pianto Tragge sovente, e poi dentro il respinge: E con quest' arti a lagrimare intanto Seco mill' alme semplicette astringe; ben dir doveasi dal poeta:

e di lor gioco

L'ingannatrice donna a prender viene;

dicendo loro, perchè si riferiva agli amanti, o pure a quelle parole mill' alme, di plural numero, di cui Armida si prendea gioco, facendo loro mutar l'affetto secondo le mutazioni del suo sembiante. Ma affinchè in modo alcuno non possa esser ripreso il Tasso in questo luogo, potendo anch'essere che l'opinione mia andasse errata intorno al sentimento di questa esposizione, farò conoscere chiaramente che di taccia non sia degno il poeta, se suo in vece di loro ha usato. Nè gli scrittori, dal Muzio oppugnati, biasimo alcuno per ciò aver debbono; posciac

chè la regola dal censore apportata, quantunque buona, non è perciò che, trasgredendosi, in errore si cada; poichè ne' libri migliori di purgata favella tanti esempli n' abbiamo, che appena è che possa dirsi regola. Sentasi il Petrarca:

Ed in suoi magisterj assai dispari

Quintiliano, e Seneca, e Plutarco (1). Così Francesco Maria Molza:

Siccome augelli semplicetti e puri Lunge dal suo nativo, almo ricetto (2). Nè se ne allontano Luigi Alamanni : Non si vedeano allor gli umani ingegni Con mille insidie a pesci, augelli, e fere Romper la pace, e i dolci suoi disegni (3). Nè diasi a credere il censore, che questo modo di dire sia stato schivato da autorevoli scrittori di prose; poichè ne sono copiosi gli esempli: ed il libro di Pier Crescenzio ne è così pieno, che citarne l'autorità sarebbe gran consumazione di tempo. Pure, per maggior chiarezza di questo luogo del Tasso, ne addurrò alcuni di regolati scrittori: e quantunque il Crescenzio n'abbia pieno ogni foglio, ne porterò sol uno per saggio. Dic' egli: Le mele acetose ed acerbe generano flemma, e putredini, e febbri per la proprietà del suo umore, e della sua crudità (4). Ed il Boccaccio disse nel Proemio del suo Decamerone: Pochissimi erano coloro, a' quali i pianti, e l'amare lagrime de suoi congiunti fossero concedute. E così altrove: Poichè gli arcieri del vostro nemico avranno il suo saettamento saettato, ed i vostri il suo ec. (5). De' quali modi copiosissimo si reade il Boccaccio in tutte l'opere sue. Nè mancano perciò degli altri autori, che di questo modo serviti si siano. Giovanni Villani trovasi frequentemente essersene servito. Dice in un luogo: I Fiorentini per far restituire a loro mercatanti la sua merca

(1) Petrarca, Trionfo della Fama, c. 3. (2) Raccolta di Rime dell' Atanagi.(3) Alaman. Elen. 3. (4) Crescen, libro 5, cap. 12. (5) Boccac. Decam. novel. 42.

tanzia (1). E Matteo suo fratello non ischivò usarle nelle storie, che poscia seguì: I Fiorentini mandarono i suoi soldati (2). E del numero di costoro ancora è Dante: Ma quelli, che compongono parole armoniose, chiamano le opere sue canzoni (3). Ed acciocchè si vegga, che non solo con gli esempli, ma parimente coll' autorità possa difendersi il Tasso, e riprovarsi la severità del Muzio, sentasi che ne dice il Borghesi in una delle sue lettere discorsive ad Ippolito Agostini: E' vero ( scriv' egli) che loro in tal modo serve lo più delle volte al secondo numero; ma è falso che talora i poeti e prosatori, e specialmente i tre padri della nostra lingua (benchè non ne facciano menzione la Fabbrica del mondo, e gli altri Vocabolarj), non faccian servire anche al primo numero suo, sua, suoi, sue (4). Quindi cento esempli ne porta così nel numero del meno, come in quello del più de' migliori autori di lingua italiana. Onde conoscer chiaramente potrassi, che in ogni modo che si prenda la voce suo, nel luogo del Tasso, dal censore notato, attribuirsi ad errore non possa. Non voglio lasciare contuttoccio di soggiungere, che l' uso di dir suo in vece di loro fu preso dalla lingua latina, chiamato da' grammatici reciproco; e dicesi: Cives defendebant suam patriam. Così Gellio: Trium poetarum illustrium Epigrammata, Cn. Nevii, Plauti, M. Pacuvii, quæ ipsi fecerunt, et incidenda suo sepulcro reliquerunt (5). E così in questa lingua ben cento esempli

OPPOSIZIONE XX.

(C. 5. St. 10.) « Te dunque in duce bramo, ove non caglia

« A te di questa Sira esser campione ».

Non so quanto ben si dicesse dal Tasso Sira inve

(1) Gio. Vill. lib. 6, cap. 2. (2) Matteo Villani, Ist. lib. x, 6. 23. (3) Dante, della Volg. Eloq. l. 2, c. 8. (4) Borgh. Lett. 3. (5) Aul. Gel. lib. 1, c. 24.

p.

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