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lo leghi: e quegli a queste, ed a maggiori cose è sog. getto. E può ben concedersi qualche licenza a quel verso, che senza di essa rancido e languido appare: perchè se fu miracolo grazioso della divina Essenza dare il drizzamento a zoppi; e noi perchè vogliamo contentarci, che piuttosto sia zoppo un verSo che vederlo diritto è corrente con una minima 、 licenziuccia, che è assai meno d'un miracolo ? Pur io, per dirla, ma spassionatamente, non conosco sconvenevolezza alcuna nel troncare questa voce idolo e dirò sia con licenza di coloro che troppo scrupolosi si mostrano in materia della lingua), che ogni volta che ingrato suono o rozzo all'orecchie non apporti, anzi più dilettevole si fa sentire, ben far giustamente si possa. Oltreciò Lionardo Salviati (1), di molti troncamenti parlando, questa eccezione non pose: e pur credo, che non averebbe lasciato di avvertirlo, se giudicato fosse stato da lui disdicevole; poichè fu egli assai diligente osservatore, anche de' più leggieri minuzzoli della nostra favella. Conobbe il tutto il Pergamino, e si servi per esemplo nel suo Memoriale dell'istesso luogo notato dal nostro censore (2): che se sconvenevole a lui fosse paruto, non l'averebbe apportato al sicuro. E se nelle poesie degli altri ciò non si osserva, è cagionato, perchè non hanno quegli avuta l'occasione di farlo. Pur ne' moderni se ne ha copia doviziosa. Ma se il dire idol ha da sembrare sconvenevole ; assai più sembrerà il troncamento fatto dall' Anguillara, nella traduzione delle Metamorfosi di Ovidio, nella parola volo, dicendo vol, che con restar la parola d'una sola sillaba, troppo disdicente rassenbra. Dic' egli:

Or

E'l fabbro d'ambi il vol sicuro scorge (3). segue l'oppositore:

(1) Avvert. lib. 3, 37. (2) Pergam. Memor, nella voce Idolo. (3) Anguill. Traduz. lib. 8, st. 163.

OPPOSIZIONE XIV.

(St.35.) « Nè vi è figlia d'Adamo, in cui dispensi »

Troppo mostrò in questo luogo il Tasso ch'ei non avea certa conoscenza del parlar regolato, avendo mostrato un error fanciullesco, ponendo il vi in vece del ci; e pur si sa da' scrittori, assai meno di lui, la differenza che hanno queste due parolette fra loro. Il vi assegnandosi a luogo lontano, quando luogo dimostra, ed il ci al presente; ond'egli con

dire:

Ne vi è figlia d'Adamo,

ha dimostrato essere fuori del mondo, dove tutti i figli di Adamo sono: e dove egli si ritrovava ? Doveva adunque da lui dirsi :

Nè ci è figlia d'Adamo.

E pure inciampo altre volte in detto errore, dicendo: Ne vi è di voi chi mai lor passi arrestí.

Onde a ragione fu sferzato dall' Accademia della Crusca, e poi dall' Infarinato Secondo, nelle controversie col Pellegrino su il Dialogo dell' epica Poesia.

RISPOSTA

Sopra questo luogo del Tasso potrebbe bastar per difesa quanto il nostro dottissimo Pellegrino rispose al Secretario dell' Accademia della Crusca', e quanto poscia replico all' Infarinato Secondo nelle erudite riotte, che ebbe con quell' Accademia per lo suo Dialogo; dimostrando che di luogo lontano intese il Tasso, quando disse: Nè vi è ec., poichè intendendo egli d'una bellezza quasi divina, non volle includerla nel centro della terra, ove sono tutte le bellezze vulgari. Pur io non voglio lasciare sopra questo luogo tanto vittorioso il censore, che qualche cosa di vantaggio non voglia soggiungerci, avvegnachè rozzamente. E dico, che negar non si può che le due particelle vi e ci, quando di luogo ten

gono significazione, ad usar non s'abbiano con differenza di presente, e di lontano, come assai ben dice il nostro critico. Ma s' ingannò (mi perdoni quel virtuoso) in questo l'Infarinato Secondo, opponendosi a tal luogo con dire: Ed il quale altro per vi non poteva intendere, che in questo mondo; chè in questé mondo era anch'egli; e certissima cosa è che commise in parlando lo stesso errore, che chi dicesse: venni qui in Roma, e vi sono stato già da quattro mesi (1). Quindi il Guastavini per difesa del Tasso apportò al euni esempli, in cui provare intendeva, che talor vi per ci venga posto dagli scrittori, e fra gli altri porta un' autorità del Boccaccio, dicendo: It Boccaccio dice: Per costui (pärla d'amore in persona di Venere) la tortora il suo maschio seguita, e le nostre colombe a'suoi maschi van dietro con grandissima affezione, e niuno altro ve n'è di loro, che dalle mani di costui, ec. Segue poi il Guastavini: Se Venere insomma per ve n'è, altro non può intendere, che alcuno non è nel mondo, o nel Cielo, o dove ella si pone essere; ed ella pure con essi si ritrova in quel luogo: ed il Boccació ha detto vi ; a suo esempio l'ha potuto dire il Tasso (2). Ma io sono di opinione, che l'esemplo del Boccaccio nella Fiammetta, apportato dal Guastavini, della particella vi, dinotar non voglia luogo; má sia una particola riempitiva, conoscendosi ciò assai chiaramente; perciocchè, togliendosi detta particella, il senso in parte alcuna guasto non rimane, dir potendosi : Niuno altro n'e' di loro, che ec. Quindi senz'altro chimerizzare dell'istesso modo è il verso del Tasso, usando vi per particella riempitiva, posciachê chiaro si vede, che niuna forza vi fa, dicendo:

Ne vi è figlia d' Adamo;

che tanto è, se dicesse:

Non è figlia d'Adamo;

essendo il nè, e'l non d'una forza stessa. E tanto più in questa opinione dobbiamo confirmarci, quan

(1) Inf. Sec. Repl. al Pelleg. (3) Guastav. dif.del Tasso.

to che il Bembo, ottimo maestro di lingua, andò dicendo, che sogliono simili particelle usarsi nell'orazione per ornamento e vaghezza. Così dice egli: Tuttocciò egli non è cosi: Che, quantunque ciò che in questi lunghi si dice, dire eziandio senza quella voce si potesse, dico in quanto al sentimento degli scrittori; nondimeno, quantop oi all' ornamento ed alla vaghezza del parlare, manifestamente veder si può, che ella non v'è di soverchio posta, anzi vi sia di maniera, che non poco di grazia vi s'arroge, così dicendo: E questo nell' altre voci mi, e ti, e vi parimente si fa (1). E così segue a portar molti esempli che tralascio, per esserne da questo autore apportati. Oltrechè la sua autorità è tale, che può bastare per avvalorar quanto ho detto.

OPPOSIZIONE XV.

(St. 44.) « Quando il mio genitor cedendo al fato

Questa frase cedere al fato, usata dal Tasso, è così del Latino, che niente dell' Italiano contiene; onde latinamente si dice, cedere fato, et fatis. Cosi Livio Itaque quibus vestrum ante fato cedere quam etc. E quanto debbano schivarsi nella nostra favella i latinismi, a bastanza han dimostrato cento scrittori.

RISPOSTA

Si sono trovati non pochi scrittori che hanno cercato con ogni accortezza di sfuggire le frasi latine. Altri poi sono stati, che con arte, e senza differenza n'hanno empiuto i fogli. Ambedue queste estremità sono viziose. E troppo si sono ingannati coloro, e con essi il nostro censore, i quali si diedero a credere, che purgata lingua italiana chiamar si dovesse quella, che dal Latino più si allontani. E chiaro il va dicendo Lionardo Salviati: Lo es

(1) Bembo, Lib. 3.

sersi (dic'egli) dall'anno del 1400 fino a cento anni appresso, dal gramaticale uso della latina lingua veduta la nostra imbrattare. Secondochè si corre quasi naturalmente per lo correggimento al contrario, un falso presupposto dietro all' ortografia ha generato in buona parte de moderni scritto.. ri: cioè, che il primo e più sicuro e più general fondamento dello scrivere correttamente nel fiorentino idioma, si sia l'allontanarsi dalla latina lingua (1) ec. Perciocchè il non voler che si usi alcuna di queste frasi, è una strettezza, a cui ligar non si volle nè il Petrarca, nè Dante, nè il Boccaccio; nè vi si dee ligare alcun altro scrittore. Deve in questo caso in gran parte operare il giudizio; perciocchè non si dee far del pedante da commedia con fare una mischia di voci latine e italiane allo sproposito; ma si deono usare quelle frasi che dall'uso e da'buoni scrittori vengono ammesse. Più strano fu l'avere usato il Petrarca la voce Miserere del tutto latina:

Miserere del mio non degno affanno (2); troppo al vivo avendo voluto imitar Virgilio:

.... miserere animi non digna ferentis (3). E strano sembrar deve, quantunque scusabile, per la natura del verso sdrucciolo, l'avere il Sannazzaro usate alcune voci latine nelle sue poesie (4), arditamente avendo detto irascere per adirarsi, ledere per offendere, vascoli per vasi piccioli, limula per picciola lima; e altre che se li potriano concedere nel verso, se nelle prose astenuto se ne fosse. Pure essendo la nostra favella scarsa di voci e di espressioni, stimo io bene ingrandirla colle straniere, e fra l'altre colle latine, essendo quella lingua molto doviziosa e di vaghe frasi e di belle parole. Ond'è che dir possiamo, di taccia alcuna non esser capace il Tasso, anzi degno stimarlo di lode, che taluna ne abbia dalla latina alla lingua nostrale

(1) Avert. vol. 1, l. 3, c. 2, p. 4. (2) Petr. Rime Am. (3) Virg. Eneid. 1.(4) Sannaz, Arc,

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