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DELL' ACCADEMICO NOMISTA

CHE TORQUATO TASSO NEL SUO GOFFREDO ABBIA RAPPRESENTATO MOlto piu' nobILE E PERFETTA IDEA DI VA LOROSO CAPITANO ED EROE, CHE OMERO O VIRGILIO.

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Io non saprei ridire, uditori generosissimi, il contento e dolcezza che provai nel mio cuore, allorchè ancor fanciullo posi il pargoletto piede ne' fortunati e cari liti d'Italia; con far mio albergo prima in quella città, la quale non lungi siede felicissima reina d'Adria; ed indi poscia in questa nuova e famosa Atene. E sebbene non mai porrò in oblio il mio greco terreno, e'l mio caro e natio paese, famo. so al presente per mille doni di natura, non meno che negli antichi tempi fosse anco per cento città illustre e chiaro; nondimeno con cento e mille catene d'amore ho sentito e sento annodarui il cuore in questo felice seno, che tra gli euganei colli ed il mar d'Adria giace ristretto. Chè certo il temperamento del cielo e la dolcezza dell'aria, la piacevolezza de' colli e fertilità de' campi, la varietà dell'arti e l'industria maravigliosa, la nobiltà rara ed illustre, la gentilezza, cortesia e bellezza delle genti, e soprattutto la virtù, la dottrina e l'ingegno, che a maraviglia splende e riluce in queste parti, sono per me indissolubili catene e lacci di benevolenza e d'amore.

Contuttociò, s'io debbo confessarne il vero, una cosa è quella che sopra tutte mi riempie quasi d'infinita dolcezza in queste parti, e mi fa benedire il giorno, nel quale mi esposi a solcar mari così perigliosi e lunghi. Ma qual cosa fia questa ? dirà alcuno. La gentilezza, signori, e felicità degl'italiani

poeti: i quali nel vero così dolci e soavi sembrano al mio gusto, cosi vaghi e leggiadri, ed insomma cosi pieni d'ogni grazia e bellezza, che mentre con questi passo l'ore ed i giorni, parmi in certa maniera di poter dire col Toscano poeta lirico:

Che ambrosia o nettar non invidio a Giove. Vero è, Signori Accademici, che uno tra gli altri è quegli, il quale suol riempire il mio petto di meraviglia e stupore, non meno che (com'ho detto) di soavita e dolcezza: parlo di colui che piuttosto con divino, che umano stile cantò

....l'armi pietose, e ́l capitano

Che'l gran Sepolcro liberò di Cristo.

Chè a dirne il vero, non puo leggersi questo leggiadro e nobil poeta, che non si riconosca in lui, oltre a tutti gli ornamenti e le bellezze di Omero e Virgilio, un'ampiezza e maestà di concetti, una grandezza e nobiltà di stile, una felicità e soavità di ragionare, la qual sormonta ogni credenza ed ingegno umano; e questo è quello sopra che son'io per discorrer brevemente tutt' ora: paragonando, per quello che l'angustie del tempo permetteranno, questi sovrani poeti, anzi occhi, anzi splendidissimi lumi e stelle della greca, latina ed italiana favella : sperando che la nobiltà e splendore del soggetto sia per dar lume tale alla bassezza e alle tenebre del mio povero ingegno, che appresso si benigni uditori agevolmente io resti dispensato, se col mio debole e mal purgato stile tropp' alto ardissi.

Non è dubbio alcuno, che Omero nell'Iliade si propose di rappresentarci un forte e valoroso capipitano ed eroe: siccome anco è certissimo, che nell'Odissea si propose di esprimere un cavaliero ed eroe di singolar accortezza e sapere, il quale anco fosse a' gran principi e capitani ritratto di prudenza e virtù: e pertanto, se Achille é quegli che tra i greci guerrieri si scuopre il più valoroso e forte, ed Ulisse il più saggio e prudente; giusta cosa dovrà parere, che l'Iliade di Omero, ove si cantano gli egregj fatti di Achille, sia esempio e idea a'supremi

guerrieri e capitani di fortezza e valore. All'incontro l'Odissea, dove vien celebrato Ulisse, dovrà rappresentarci, come in bel teatro, la vita e i costumi d'uomo prudente e saggio; il qual tanto nella fortuna avversa, quanto nella prospera si mostri co

stante e perfetto.

Contuttocciò non potendo in alcuno trovarsi vera fortezza ed animo invitto, senza la prudenza e consiglio; nè meno potendosi condurre a fine imprese difficili, se la prudenza non venga accompagnata dalla fortezza e dal valore; parve che saggia ed accortamente Virgilio congiungesse nel suo Enea ed il valore di Achille e la prudenza di Ulisse: sicchè poi ed in pace ed in guerra si scoprisse esempio perfetto ad ogni uomo, anzi principe ed eroe, quale sia commesso supremo imperio, non meno in guerra, che in pace.

al

Anzi, perchè tutte le virtù debbono mirare altamente, e ( per quanto sia lecito) a fin celeste e divino, adorno il suo Enea di rara pietà e religione: le quali virtù non so io quanto agevolmente vengano espresse e rappresentate in Achille o Ulisse; giacchè quegli si mostrò iracondo ed acerbo, ed il qual pose tutta sua ragione nella spada; e questi si scopri a maraviglia astuto, ed oltre ogni dover sagace, per non dir pronto alle fraudi ed agl'inganni.

Una sola cosa restava a questo gran principe dei latini poeti: che, cioè, la pietà e religione di Enea non fosse superstiziosa e vana, qual fu la religione della misera e cieca Gentilità: ed ecco che il principe della italiana poesia, Torquato, ha nel suo Goffredo raccolte tutte le virtù, che ovvero in Achille, ovvero in Ulisse, o pure anco nel pietoso Enea si ritrovano, aggiungendovi la perfezione delle virtú cristiane; sicche niun esempio di eroica vita e virtù può rappresentarsi più perfetto di quello, che in questo gran capitano e cristiano campione si scorga e miri. Laonde Erminia, donna sì, ma di real sangue, e per lo grido che di Goffredo s'era andato spargendo nella Širia ed Asia, e molto più per gli

eroici fatti di lui veduti nel conquisto di Antiochia, dove ella sedeva del re figliuola, benissimo informata del suo valore, nell' additarlo ad Aladino re di Gerusalemme, così ne ragionò:

Veramente è costui nato all'impero,

Si del regnar, del comandar sa l'arti: E non minor che duce è cavaliero, Ma del doppio valor tutte ha le parti . Nè fra turba sì grande uom più guerriero, O più saggio di lui potrei mostrarti : Sol Raimondo in consiglio, ed in battaglia Sol Rinaldo e Tancredi a lui s'agguaglia (1). Onde anco Aladino così ripiglia:

Ben ho di lui

Contezza, e'l vidi alla gran corte in Francia,
Quand' io d'Egitto messaggier vi fui,
E'l vidi in nobil giostra oprar la lancia.
E, sebben gli anni giovinetti sui

Non gli vestian di piume ancor la guancia,
Pur dava a' detti, all' opre, alle sembianze,
Presagio omai d'altissime speranze (2).

E di qui è, che con molto decoro, e soprattutto con parole molto accomodate a confermar quel ch'io diceva, al costui cospetto introdotta a ragionare la figliuola del re di Damasco, dico Armida, con pensiero fallace sì, ma però con supplichevole sem

biante:

Principe invitto, disse, il cui gran nome
Sen vola adorno di sì chiari fregi
Che l'esser da te vinte e in

guerra

dome

Recansi a gloria le provincie e i regi,
Noto per tutto è il tuo valore; e come
Sin dai nemici avvien che s'ami e pregi,
Così anco i tuoi nemici affida e invita
Di ricercarti e d'impetrarne aita (3).
Dove seguì anco quasi immantinente:
Io te chiamo, in te spero; e in quell'altezza
Puoi tu sol pormi, onde sospinta io fui:

(1) Can. III, st. 59. (2) Ivi, st. 60. (3) Can. IV, st. 39.

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