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XCI.

Seguia la coppia il suo camin veloce;
Ma terribile schiera han già davante
De' selvaggi animai, varj di voce,
Varj di moto, varj di sembiante.
Ciò, che di mostruoso, e di feroce
Erra fra 'l Nilo e 'l Mauritano Atlante,
Par qui tutto raccolto: e quante belve
L'Ercinia ha in sen, quante l' Ircane selve.

XCII.

Ma sì fero esercito e sì grosso

pur

Non vien, che lor rispinga, o che resista,
Anzi (miracol nuovo) in fuga è mosso
Da un picciol fischio, e da una breve vista.
La coppia omai vittoriosa il dosso
Della montagna senza intoppo acquista:
Se non che lor ritarda al fin vicino
Delle rigide vie l'aspro camino.

XCIII.

Ma poichè già le spalle ebber varcate,
Lasciando a tergo il discosceso e l'erto,
Un bel tepido ciel di dolce state
Trovár, e'l pian sul monte ampio, ed aperto:
Aure fresche mai sempre ed odorate
Vi spiran con tenor stabile e certo,
Nè i fiati lor, siccome altrove suole,
Sopisce, o desta, ivi girando il Sole.

XCIV.

Nè come altrove suol ghiacci, ed ardori,
Nubi, e sereni in quelle piagge alterna ;
Ma 'l Ciel di candidissimi splendori
Sempre s'ammanta, e non s'infiamma, o verna:
E nudre a' prati l'erba, all'erba i fiori,
A'fior l'odore, a' rami l'ombra eterna:
Siede sull'acque, e signoreggia intorno
Le piagge, e i monti il bel palagio adorno.

XCV.

La coppia all'erta cima omai salita
Pronti aveva gli spirti, e 'l corpo lasso:
Onde ne gian per quella via fiorita,
Lenti or movendo, ed or fermando il passo:
Quando ecco un fonte, ch'a bagnar invita
Le labbra, alto cader da un vivo sasso,
Con larghissima vena, e con ben mille
Vaghi giri spruzzar l'erbe di stille.

XCVI.

Ma tutta insieme poi tra gli olmi e i faggi
In profondo sentier l'acqua s'aduna,
E sotto l'ombra di perpetui maggi,
Mormorando sen va gelida e bruna :
E pura, e chiusa al trapassar de' raggi,
Senza celare in sè vaghezza alcuna,
E sovra le sue rive alta s'estolle
L'erbetta, e vi fa seggio fresco e molle.

XCVII.

Ecco il fonte del riso, ed ecco il rio,
Che mortali perigli in sè contiene.
Or qui tenere a fren nostro desio,
Ed esser cauti molto a noi conviene:
Chiudiam gli orecchi al dolce canto e rio
Di queste del piacer false Sirene:
Così (diceva Araldo) al chiaro gorgo
N'andremo, ove l'insidie or tese io scorgo.

XCVIII.

Quivi di cibi preziosa e cara

Drizzata è l'ampia mensa in verdi rive;
E scherzando vedean per l'acqua chiara
Due donzellette garrule e lascive,
Ch'or si spruzzano il volto, or fanno a gara
Chi prima a un segno destinato arrive:
Si tuffano talora, e'l capo, e'l dorso
Scoprono alfin dopo 'l celato corso.

XCIX.

Mosser le natatrici ignude e belle

De' duo guerrieri alquanto i duri petti;
Sicchè fermarsi a riguardarle; ed elle
Seguian pure i lor giuochi, e i lor diletti.
Ma l'una intanto candide mammelle,

E tutto ciò, che più la vista alletti,

Mostrò, da' fianchi insuso, ignudo al cielo : Fean quasi l'acque all'altre parti il velo.

C.

Qual mattutina stella esce dell' onda
Rugiadosa e stillante, o come fuore
Spuntò, nascendo già, dalla feconda
Spuma dell' Ocean, la Dea d'Amore :
Tal'apparve costei, tal crespa e bionda
Chioma stillava il cristallino umore:
Poi girò gli occhi, e pure allor s' infinse
Que' duo vedere, e in sè tutta si strinse.

CI.

La chioma allor sull' aurea testa accolta,
Con un bel nodo ella repente sciolse,
Che lunghissima in giù cadendo e folta,
D'un vello d'oro il molle avorio involse.
O che leggiadra vista agli occhi è tolta!
Ma non men vago fu chi lor la tolse;
Così dall'acque e da' capelli ascosa,
A lor si volse lieta e vergognosa.

CII.

Rideva insieme, e insieme ella arrossia,
Ed era nel rossor più bianco il riso,
E nel riso il rossor, che le copria
Insino al bianco mento il chiaro viso.
Mosse la voce poi sì dolce e pia,
Che fora ciascun altro indi conquiso :
O fortunati peregrin, cui lice
Giungere in questa sede alma, e felice.

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CIII.

Questo è il porto del mondo, e qui è il ristoro
Delle sue noje, e quel piacer si sente,
Che già senti ne'secoli dell' oro

L'antica e senza fren libera gente.

L'arme, che insino a qui d'uopo vi foro, Potete omai spogliar securamente, E sacrarle in quest' ombra alla quiete; Chè guerrieri qui sol d'Amor sarete . E dolce campo di battaglia il letto

CIV.

Fiavi, e l'erbetta de' più verdi prati;
E noi merrenvi anzi'l regale aspetto
Di lei, che qui fa i servi suoi beati,
Che v'accorrà nel bel numero eletto
Di quei, ch' alle sue gioje ha destinati;
Ma pria la polve in queste acque deporre
Vi piaccia, e 'l cibo a quella mensa or torre.

CV.

L'una disse così; l'altra concorde

L'invito accompagnò d'atti, e di sguardi ;
E come al suon delle canore corde
S'accompagnano i passi or lenti, or tardi.
Ma i cavalieri hanno indurate e sorde
L'alme a quei vezzi lor vani e bugiardi :
E'l lusinghiero aspetto, e 'l parlar dolce
Di fuor s' aggira, e solo i sensi molce.

CVI.

E se di tal dolcezza entro diffusa

Parte si sparge,
ond' il desio germoglie;
Tosto ragion, nell'arme sue rinchiusa,
Sterpa, o recide le nascenti voglie.
L'una coppia riman vinta e delusa,
L'altra sen va, nè pur congedo toglie.
Essi entrar nel palagio, elle nell'acque :
Cotanto l' esser vinte a lor dispiacque.

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