Nè di ciò ben contento, al corpo morto, Che già pace aspettava, ancor fa guerra; Quasi mastin, bieco mirando e torto, Il sasso, che 'l ferì, co'denti afferra . O d'immenso dolor breve conforto; Incrudelir nell' insensibil terra.
Non spendea intanto il cavalier soprano Il tempo, o l'ire, o l'ire, o le percosse invano.
Ma partia scudi, capi, elmi, e loriche, Onde tremila Turchi eran coperti, Indomiti di corpo alle fatiche,
Di spirto audaci, e'n varj casi esperti: Questi seguiro in monti, e'n piagge apriche gran Soldano; e 'n orridi deserti
Compagni fur de' suoi errori infelici: Nelle fortune avverse ancora amici.
Di questi, o raro sia l'ordine o folto, Nulla, o poco il valor cedeva al Franco; In questi urtò Goffredo, e ferì il volto Al fier Tirante, ed a Rosteno il fianco: Al superbo Selimo il capo ha tolto
Dal busto, ha tronco a Pirgo il braccio manco, A Ruteno cacciò tra costa e costa
Il ferro, e trapassò la parte opposta.
Non ebber duce eguale al crudo Orosco, Nè più feroce ancor le schiere impigre; Buono era al monte, alla campagna, al bosco, E nacque là, dove il suo fonte ha il Tigre: Frenava un gran destrier, che nero e fosco, Dal ratto corso fu chiamato il Tigre: Ma nol sottrasse a morte allorchè giunse La spada, che'l suo busto agli altri aggiunse.
Joran, che forze e membra ha di gigante, Col foco apriva ardente strada all'empie Turbe, scuotendo intorno il pin fumante, Che di sparse faville il Ciel riempie: Ma'l pino, e'l capo altero e minacciante Tronca Aristolfo, e nell'immonde tempie La fiamma è appresa in quel sanguigno luogo, Ond' egli fece a se medesmo il rogo.
Poscia Aristolfo uccide il fier Turcaldo, Arifar, Beregor, Turano, e Besso. Camillo fa nel sangue il ferro caldo Di Ramon, di Perondo, e di Lermesso. Davalo fende l'elmo integro e saldo Di Bosna; ed Arameo gli atterra appresso. Garzia d'Idro, e d'Irospe il fero spirto, Caccia Ettor quel di Zerbi, e quel d'Absirto.
Mentre la morte fa preda e rapina
Dello stuol, che più assalto or non sostiene, E sparsa e scema al precipizio inchina La fortuna de' barbari e la spene :
Nuova nube di polve ecco vicina,
Che folgori di guerra in grembo or tiene. Ecco d'arme improvise uscire un lampo, Ch'a tutti diè terror correndo il campo.
Son cinquanta guerrier, ch'in puro argento Spiegan la trionfal purpurea Croce:
In cui lo stuol, ch'era a fuggire intento, S'incontra, e non gli giova esser veloce ; Ma parve campo, in cui tempesta, o vento Pria l'immature spiche abbatte e noce : Poi dalla falce è tronco alfine, ed arso, Ed arido fiammeggia al foco sparso.
L'orror, la crudeltà, la tema, il lutto Van dintorno scorrendo, e'n varia imago Vincitrice la morte errar per tutto Vedresti, ed ondeggiar di sangue un lago. Già fuori la sua squadra avea condutto Doldechino; e parea quasi presago Di fortunoso tempo; e però d'alto Mirò i piani soggetti, e'l dubbio assalto.
Ma come prima si ritorce e piega
L'oste di Soliman, suona a raccolta; E con messi iterati affretta e prega Argante, e'l fier Baldacco a dar di volta; Ma'l Principe d'Egitto irato nega; Chè di rado furor consigli ascolta;
Pur cede alfine, e i suoi già stanchi e lassi Raccor vorrebbe, e freno imporre a'passi.
Ma chi dà legge al volgo? ed ammaestra La viltate, e'l timor? la fuga è presa. Altri gitta lo scudo, altri la destra
Disarma; impaccio è il ferro, e non difesa. Valle è tra'l piano e la città, ch'alpestra Dall' occidente al mezzogiorno è stesa; Qui fuggono essi, e si rivolge oscura Caligine di polve all'alte mura.
Passa Clorinda intanto al buon Tranquillo Il core, e rivi trae caldi e sanguigni; Perch'a feminea mano il Ciel sortillo, S'aspetti ha pur si feri e sì maligni. Te pianser poi gli scogli, e'l mar tranquillo, Del bel Sorrento, e di Sebeto i Cigni : Es'udir ne' bei monti, e'n sull'arene I lai, quasi di Ninfe, e di Sirene.
Mentre van quei precipitosi al chino, Strage i nostri degli empj orribil fanno; Ma posciachè, poggiando, omai vicino L'ajuto avean del barbaro tiranno; Guelfo, che più non vuol d'aspro cammino Con tanto suo periglio esporsi al danno; Ferma sue genti; e quel le sue riserra: Non poco avanzo d'infelice guerra.
Quanto a forza terrena è far concesso,
Fatto aveva il Soldan: or più non pote; Tutto è sangue e sudore; e un grave e spesso Anelar gli ange il petto, e i fianchi scote : Langue sotto lo scudo il braccio oppresso, Volge la destra l'arme in pigre rote,
Spezza, e non taglia; e divenendo ottuso, 'Perduto il ferro omai di ferro ha l'uso.
Come si vede tal, rimane in atto
D'uom, che fra due sia dubbio, e'n sè discorre.
Se morir debba; ed animoso fatto
Colle sue mani altrui la gloria torre : O dapoich' il suo Campo è omai disfatto, Se stesso in parte più secura accorre. Vinca alfin (disse) il mio destin superbo, A cui le spoglie, e questa vita io serbo.
Veggia il nemico le mie spalle, e scherna Di nuovo ancora il nostro esilio indegno: Purchè di nuovo armato indi mi scerna Turbar sua pace, e'l non mai stabil regno.. Non cedo io, no: fia con memoria eterna Delle mie offese eterno il mio disdegno. Risorgerò nemico ognor più crudo, Cenere ancor sepolta, e spirto ignudo,
Soliman fugge al Re d'Egitto: e'n sogno Gli appare Ismen, che lo distorna; e, sane Fatte sue piaghe, l'arma, indi al bisogno D'Elia nel guida per vie occulte e strane; Dove il timido Re rincora. Il sogno Ode, e l'arti il Buglion d'Armida vane. Viver Riccardo scopre Pier: Ruperto
Gir vuol: pensa all'assalto il Duce esperto .
Cosi dicendo ancor, vicino scorse
Un destrier, ch'a lui volse errante il passo: Tosto libero al fren la mano ei porse, E su vi salse, ancorchè afflitto e lasso. Senza il cimier, che prima orribil sorse, Fatto era l'elmo quasi oscuro e basso; Rotta la sopravveste, e di superba Pompa real indicio alcun non serba .
Come dal chiuso ovil cacciato viene Lupo talor, che fugge, e si nasconde: E benchè del gran ventre omai ripiene Ha l'ingorde voragini profonde; Avido pur di sangue anco fuor tene
La lingua, e'l sugge dalle labbra immonde; Tale ei sen gia dopo il sanguigno strazio, Della sua cupa fame ancor non sazio.
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