S'accampar più vicini i duo Roberti; Tancredi dopo lor gli spazi ingombra, Contra l'angolar torre ; e i lochi aperti A'rai del Sol con ricche tele adombra, Sin là 've sono i più scoscesi ed erti, E declinando il giorno accresce l'ombra; Ma dalla valle a' più sublimi poggi Salse Raimondo, ove sicuro alloggi.
Così dintorno si circonda, e stringe Della cittate il terzo, o poco meno; Chè tutto incoronar, quant' ella cinge, Non ponno i Franchi l'inegual terreno : Ma le vie tutte, ond' altri a lei si spinge, E gli ajuti impedi Goffredo almeno: Ed occupar fa gli opportuni passi, Per cui da lei si viene, ed a lei vassi.
E'ntorno al campo con mirabil arte Far profonda la fossa, ed alto il vallo, Perchè nol turbi d'improvviso Marte Impeto, o fraude pur notturna, o fallo . Di fuor le torri, entro le vie comparte, E di larghezza eguali, e d'intervallo :
La piazza in mezzo, e'n mezzo è l'alta reggia, E un largo spazio innanzi a lei vaneggia .
Poi colà trasse, ove gli amici ornaro 11 gran feretro, in cui Guidon si giace." Quando Goffredo entrò, le turbe alzaro La voce assai più flebile e loquace : Ma con volto nè torbido, nè chiaro, Frena gli affetti il pio Goffredo, e tace; E poi ch'in lui pensando alquanto fisse Tenne le luci, sospirando ei disse:
Già non si deve a te doglia, nè pianto, Chè se muori nel mondo in Ciel rinasci; E qui, dove ti spogli il fragil manto, Di gloria impresse alte vestigia or lasci. Vivesti qual guerrier Cristiano e santo,. E come tal sei morto; or cibi, e pasci D'eterno ben te stessa, o felice alma; Ed hai di ben oprar corona e palma.
Vivi beata pur, che nostra sorte,
Non tua sventura, a lagrimar n'invita, Poscia ch'al tuo partir sì degna e forte Parte di noi fa col tuo piè partita; Ma se questa, ch'il volgo appella morte, Privati ha noi della terrena aita, Celeste ajuto ora impetrar ne puoi, Che'l Ciel t'accoglie infra gli eletti suoi .
E come a nostro pro veduto abbiamo Portare, uom già mortal, l'arme mortali, Così vedremti, o pure io spero e bramo, Spirto divin, l'arme del Ciel fatali. Impara i preghi omai, ch'a te porgiamo, D'accorre, e dar soccorso a' nostri mali: Tu la vittoria annunzia; a te devoti Solverem, trionfando, al Tempio i voti.
Così disse Goffredo, ed egli stesso Seguir la nera pompa armato volle. A Guidon d'odorifero cipresso
Han fatto un gran sepolcro appiè d'un colle, Non lunge agli steccati; e sovra ad esso Un'altissima palma i rami estolle : Quivi fu posto al suon di sacro carme,
E sovra, e 'ntorno alzate insegue, ed arme.
Quinci, e quindi fra'rami eran sospese Spoglie di foggia e di color diverso, Già da lui tolte in più felici imprese Al guerrier di Bitinia, al Siro, al Perso: La sua propria lorica, e l'altro arnese Il gran tronco vestì, di sangue asperso. Quivi, fu scritto poi, giace Guidone; Onorate l'altissimo campione.
Già l'alta notte, oltra l'usato oscura, Tutti aveva del Sole i raggi spenti; E coll'obblio d'ogni nojosa cura Facea tregua alle lagrime, ai lamenti ; Ma'l Duce, ch'espugnar l'eccelse mura Pensa, co' raggi della stella algenti
I fabbri invia, mentre anco il Cielo è fosco, Per far macchine e travi, al folto bosco.
L'un l'altro esorta che le piante atterri, Con non usati all'alta selva oltraggi. Caggion recisi dagli acuti ferri
Le sacre palme, e i frassini selvaggi, I funebri cipressi, i pini e i cerri; L'elci frondose, e gli alti abeti e i faggi, Gli olmi con gli oppi, a cui talor s' appoggia La vite, e con piè torto alta sen poggia.
Altri i tassi, e le querce altri percote, Che mille volte rinnovár la chioma; E mille volte, ad ogn'incontro immote, L'ira de' venti han rintuzzata e doma : Ed altri impone alle stridenti rote D'orni e di cedri l'odorata soma. Lasciano al suon dell'arme, al vario grido, E le fere e gli augei la tana e'l nido.
Contra Goffredo, che gran moli ingegna, L'empio Signor del tenebroso impero Maligni spirti aduna, e loro assegna, Che si tronchi all'impresa ogni sentiero, Manda Idraote Armida, e pria le 'nsegna
L'arti d'usar col Franco Cavaliero.
L'usa, ed ottien, mercè ch'Eustachio impetra. Essa a'guerrier col viso il cor penetra.
entre son questi alle bell' opre intenti, Di cui mole più eccelsa ivi non sorse; Il gran nemico dell'umane genti Contra i Cristiani i lividi occhi torse : E scorgendogli omai lieti e contenti, Ambe le labra per furor si morse;
Nè mai gran tauro, ch'è scacciato in bando, Così forte dolor versò mugghiando.
Quinci avendo pur tutto il pensier volto A recar ne'Cristiani ultima doglia, Che sia, comanda, il popol suo raccolto (Concilio orrendo) entro l'Inferna soglia; Come sia pur leggiera impresa (ahi stolto!) Il repugnare alla divina voglia :
Stolto, ch'obblia, come fra tuoni e lampi, Di Dio la forte destra irata avvampi.
Chiama gli abitator dell' ombra eterna Il rauco suon della tartarea tromba; Trema la spaziosa atra caverna,
E'l aer cieco a quel romor rimbomba: Ne si mai fulminar spera superna Suol di Tifeo la cavernosa tomba; Nè con tal suono è scossa arida terra, Quando i vapori in sen gravida serra .
Corron gli Dei d' Abisso in varie torme Alle caliginose oscure porte.
Oh! come strane, oh! come orribil forme; Quanto è negli occhi lor terrore e morte! Stampano alcuni il suol di ferine orme, E 'n fronte umana han chiome d'angui attorte: E volgon dietro la pungente coda,
Che quasi sferza si ripiega e snoda .
Qui mille immonde Arpie fur giunte, e mille Centauri, e Sfingi, e pallide Gorgoni : E latrar cani mostruosi, e Scille, E fischiar Idre, e sibilar Pitoni; E vomitar Chimere atre faville,
E Polifemi orrendi, e Geríoni :
E'n varj mostri, e non più intesi, o visti, Diversi aspetti fur confusi e misti.
D'essi parte a sinistra, e parte a destra A seder vanno al crudo Re davante. Siede Plutone in mezzo, e colla destra Sostien lo scettro; e scoglio in mar sonante Via men s'innalza, o giogo, o rupe alpestra, O pur Caucaso, Pelio, Olimpo, Atlante, Ch' innanzi a lui parrebbe un picciol colle: Tanto la fronte e le gran corna estolle!
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