Al pio Goffredo in Cesarea discende Angiol dal Ciel, ch'al glorioso acquisto Lo sprona, e gli dà scettro. Egli contende Nel sacro tempio unir gli Eroi di Cristo : Quivi da lor vien duce eletto; e prende L'applauso militar dal popol misto. Sotto l'insegne riveder vuol pria La gente tutta, indi a Sion l'invia .
Io canto l'arme, e'l Cavalier sovrano, Che tolse il giogo alla città di Cristo. Molto col senno, e coll'invitta mano, Egli adoprò nel glorioso acquisto ; E di morti ingombrò le valli e'l piano, E correr fece il mar di sangue misto. Molto nel duro assedio ancor sofferse, Per cui prima la terra, e 'l Ciel s'aperse.
Quinci infiammár del tenebroso Inferno Gli Angeli ribellanti, amori, e sdegui; E spargendo 'ne' suoi veneno interno, Contra gli armár dell'Oríente i regni: E quindi il messaggier del Padre eterno Sgombrò le fiamme, e l'arme, e gli odj indegni: Tanto di grazia diè nel dubbio assalto
Alla Croce il Figliuol spiegata in alto.
Voi, che volgete il Ciel, superne menti; E tu, che duce sei del santo Coro, E fra giri lassù veloci e lenti, Porti la face luminosa, e d'oro;
Il pensier m'inspirate, e i chiari accenti, Perch'io sia degno del Toscano alloro: E d'angelico suon canora tromba Faccia quella tacer, ch'oggi rimbomba.
Cintio, che di virtù gli antichi esempi Rinnuovi, e col tuo lume Italia illustri, L'alte memorie de' passati tempi Difendi omai dal varíar de' lustri;
E mentre il gran Clemente i sacri Tempi, Di Sole in guisa, avvien che purghe, e lustri; Egli, del Re del Ciel Vicario in terra, Il Cielo, e tu Elicona a me disserra .
Egli del suo voler, ch'è santo, e giusto, Fa dritta norma al mondo, e viva legge. E i gran Duci d'Europa, e'l grande Augusto, E'l gran Re, che più regni affrena, e regge, E gli altri ancora, e l'Etiope adusto, E qual più lunge il vero culto elegge, E stelle, e segni occulti in Ciel discopre, Onoran tutti a prova il nome, e l'opre.
Tu l'altrui lingue più famose, e l'arti Più belle, e i sacri studj in pregio torni; E pria che d'ostro il crin, l'interne parti Di virtù vera, e vera luce adorni: E tu l'alte sue grazie a me comparti, Perchè l'invidia se ne roda, e scorni: Che dal giudicio suo benigno io pendo, E vita a me, non pur a'versi, attendo.
Ma quando fia che la tua nobil chioma Porpora sacra in Vatican circondi, Quanto sarà più bella Italia, e Roma? E più colti gl'ingegni, e più fecondi? E'n lui men grave l'onorata soma Delle gran chiavi, chiavi, e de'pensier profondi? Ambo intanto gradite i nuovi carmi, E de' pietosi Eroi l'imprese, e l'armi.
Già'l sesto anno volgea, che all'alta impresa Passaro i nostri duci il mare, e 'l monte, Ed a' trofei di Cristo, ogni difesa
L' Asia, e 'l Tauro inchinò superba fronte; E, scosso il giogo, che l'affligge, e pesa, Sen gi libero Cidno, Eufrate, Oronte: Pur la stagion, che 'l fango, e 'l gelo sgombra, Attende l'oste; e già Cesarea ingombra.
E'l tempo omai, ch'alle feroci squadre Ogn' indugio togliea, lunge non era, Quando al gran seggio ascese il sommo Padre, Ch'in quella parte più del Ciel sincera Quanto è da forme risplendenti all'adre, Tant'è più su della stellante spera; Perocchè quasi terra è il ciel del Cielo, Al Signor, che si fa lucente velo.
Stanno a quell' alta sede intorno intorno Spirti divini, al suo splendore accensi, E ciascun d'essi è di sei ale adorno: E siccome i vapori umidi, e densi, O le nubi dipinte, il Sole, e 'l giorno Copron soavemente a' nostri sensi ; Velano due la faccia a quel vetusto,
Due i pie, due van girando il seggio augusto.
« ПредишнаНапред » |