non conosce se stessa, se non viene illuminata dalla grazia, n' esorta a purgar con essa le sue macchie. Spiega come Dio nella creazione dell'uomo consigliò se medesimo, riprendendo la cecità de' Giudei in non conoscere la SS. Trinità, la quale ci figura nelle tre potenze dell' anima; la cui bellezza conseguita nella creazione, soggiunge esser contaminata dalle colpe. Mostra come Dio fece l' uomo su periore a tutte le cose; e biasimando perchè di Re nato nel mondo, si faccia servo degli affetti e del peccato, narra la felicità del primo padre, mentre egli era nello stato d'innocenza; e termina concludendo che anco dopo la trasgressione al divino precetto restò all' uomo l'impero sopra gli altri animali.
Là dove innalza 'l celebrato Olimpo, Creduto degli Dei lucente albergo, Sovra tutte le nubi, e sovra i venti Nell'aria queta la serena fronte, E dove Alfeo nelle sue lucid' onde Portar solea già l'onorata polve De'vincitori, a cui le membra asperse, Propose i varj premj a' giuochi illustri L'antica Pisa e i più veloci, e i forti Vide sovente in dubbia lotta, o'n corso Affaticati e i cavalieri, e i carri Colle fervide ruote all'alta meta Girarsi intorno, e'n varie altre contese Ricercar pregio e fama e chiaro grido: E vide a prova ancor sublimi ingegni Far di sè paragone, e 'n dolce canto, O con soave pur faconda lingua Gli udi maravigliando; e ben conobbe Che pari non avea mercede o palma; Ma i primi dì nelle tenzoni antiche Talvolta sen passàr dubbiosi e 'ucerti Senza corona, e sol nel giorno estremo, In cui maggior fu la fatica, e 'l risco Del contrastare, o 'l vergognoso scorno Di ceder vinto, diede i cari pregi Fermo giudicio al vincitor felice: E rimbombar d'intorno il chiaro nome Udissi al suon della canora tromba.
Ma in questo quasi agone, e quasi campo Di sapíenza, ov'adoriamo assiso
In altissima sede, a Dio sembiante, Quel, cui permise 'l giudicarne in terra Giudice non severo, anzi CLEMENTE; Più sollecita cura, e più gravosa, Cura incerta d'onor ne preme e 'ngombra Nel giorno estremo, e nell' estremo corso; In cui di faticosa aspra contesa
Quasi corona, o premio è posto innanzi, Dura pena all' incontro altrui minaccia. Già non è pari 'l giuoco, e pari 'l frutto Tra quel, che lotta col nemico, o canta Al dolce suon delle sonore corde, E'l mio ( se lece dir) contrasto indegno; Ch'ivi 'l periglio è sol fastidio e scherno Degli uditori: e 'n questo è danno, e morte. Amici, adunque a me pietoso ajuto Date, vi prego, e quasi lena e spirto: E di par meco entrate in quest'adorno Maraviglioso, grande, ampio teatro Delle cose create; in cui mirando Il magistero del gran Padre eterno, Quasi per gradi alziam la pura mente All'invisibil suo felice Regno,
Ove gli ultimi premj altrui riserba. Nè già ricerch' io qui verde ghirlanda D'allor frondoso, che si sfronda, e perde In breve tempo la vaghezza e 'l pregio : O di pallida pur famosa oliva, Qual da'gran fonti già del gelid' Istro La riportò d'Anfitrione il figlio ; Ma sieno i pregi miei salute, e pace
In terra, e più negli stellanti chiostri. Intanto a voi questa corona eccelsa
posta innanzi, e voi medesmi al vostro Puro giudicio di lodevol' opra
Bramo di coronare. Udite adunque Con pietosa udíenza, o fidi amici, L'aspra natura dell' estranie belve, Dell'umil gregge e de' terreni armenti, E dell'uom, cui di terra il Padre eterno Creò da sezzo, e da principio umile, Formollo imperíoso a scettro, a regno, E di vita immortal; se propria colpa Non era a lui di faticoso esiglio Dura cagione, e d'odiosa morte.
Poich'ebbe 'l grande Iddio spiegato 'l cielo Sovrano, e stesa ancor l'infima terra, E fermato 'l ritegno in mezz'all' acque, Che sovra, e sotto le distingue e parte: E comandato che s'aduni insieme Quella natura instabile e vagante: E imposto al mare, ed alla terra 'l nome, E l'arida di piante ornata e d'erbe ; Indi si volse a far più bello 'l mondo, E died' al giorno, ed all'algente notte I duo' lumi maggiori e più lucenti, E tutti variò di stelle, e d'auro Con diverse figure, e vaghi giri
I primi corpi, e con perpetue tem pre Maravigliosa fè la vista, e 'l corso. Poscia prodotti entr'all' ondoso grembo Dell'acque amare e dolci i varj pesci, E nell'aria i volanti e levi augelli; Disse Dio Creator ( e 'l sacro detto
Fu certo impero, e 'nviolabil legge ) L'anime de' viventi ancor produca D'ogni sorte la terra, e 'n quattro piedi Altri appoggi 'l corporeo e grave pondo: Altri nel suol disteso 'l porti, e serpa: E la progenie anco produca, e figli Di qualunque altro va rependo, e insieme Colle fere produca armenti e gregge. Così Dio fece le terrene belve,
E le cornute, o pur lanose mandre De' mansueti, e quei, ch' al suol congiunti Strisciando se n'andar col giro obliquo. Dunque animata è quest'antica madre? Dunque anima ha la terra, ond'ella al parto, Quasi femmina, fu bramosa e pronta? E loco han pure i Manichei superbi Di saper vano, e le menzogne antiche Di chi filosofando e mente, e spirto Died' a questa mondana ed ampia mole? Lo qual per entr'a lei trapassa e spira Com'a lor parve, e 'l cielo e l'ima terra ; E la spera del Sol lucente e vaga, El globo della Luna, e l'auree stelle; E dell'aria, e del mare i larghi campi Nutre, e misto al grau corpo in varj modi Muove agitando le diverse membra?
Ma chi vestire osò d'alma spirante
La terra, o volle dar sua mente al mondo, E farlo Dio, non che spirante e vivo Animal, che tutt'altri accoglie in grembo; Male intese di Dio que' sacri detti, E 'n peggior parte la sentenza torse. Perch'alma non avea l'arida terra;
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