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E la natura col tuo raro esempio
Insegna pure all'animosa mente
(S'ella dubita mai ) com' Ei risorga
Dalla sua morte, e dal sepolcro eterno.
E benchè nostra pura, e 'nvitta fede
Abbia lume più chiaro, onde c'illustri,
Te non disprezza, e con perpetuo onore
Il tuo bel nome al suo Fattor consacra,
Ch'è sommo Sole, ond' ha sua luce il Sole.
Fatto avea tutti omai gli umidi campi,
Ch'agitar suole 'l vento obliquo, o l'onde,
Co' proprj abitatori il Padre eterno;
S'abitatori pur dell'aria vaga

I volatori augelli, e non più tosto
Son della terra, ond' hanno 'l cibo, e 'l volo.
Quand'egli vide 'l suo lavoro, e l' opre
Tutte esser buone, e gli animai feroci
Buoni pur anco e sua bontate impressa
In lor, qual nota del suo Mastro, o segno;
Però gli benedisse. E 'n questa guisa
Disse Crescete; e numerosa prole
Tutte l'acque riempia, e'n sulla terra
In gran numero ancor s'avanzi, e cresca
Ogni progenie de' volanti augelli.
E della santa voce il santo impero
Ancora è certa, e 'nviolabil legge.
Perchè dopo tant'anni, e tanti lustrì,
Tanti secoli, a volo omai trascorsi
Da' principj del mondo a quest' estrema
E tarda etate, in cui s' appressa 'l fine,
Nè progenie di lor, nè fera stirpe,

per diluvio, o per incendio ardente, O per lunga mortale orrida peste,

O per lor feritate, o per l' insidie
D'umano ingegno, o per l' orribil' armi
Estinta non rimase, o scema unquanco;
Ma quasi eterna si perpetua e serba .
Tanta della divina e santa voce

È la virtù, che lor difende e guarda;
Perchè sia appieno, e 'n ogni parte adorno
Questo, che tutti abbraccia e tutti accoglie,
Nell'ampissimo sen, capace mondo.
Cosi fu fatto; ed al mattino il vespro
Giungendo, impose fine al Quinto Giorno.

LE

SETTE GIORNATE

DEL

MONDO CREATO

GIORNATA SESTA

NELLA QUALE creò dio ogni specie di bruti,
E L'UOMO

ARGOMENTO

S'introduce l' Autore, dai Giuochi dell' anti

ca Pisa, ne' quali era l'ultimo giorno di maggior fatica e pericolo degli altri, a dir che l'istesso avviene a lui in questo ultimo giorno della creazione del mondo. Perciò dopo avere assomigliato il Pontefice a Dio nel giudicar sopra le opere umane, chiede ajuto agli Amici per ispiegar quest'ultima azione divina; e con invitarli ad inalzar per loro mezzo la mente all' eterna gloria, dice non moversi egli per avidità d'onore terreno, dovendo trattare della natura de' bruti, e di quella dell' uomo. Epiloga le opere passate, e riprova l'opinione di chi assegnò l'anima alla ter ra, dimostrando la diversità delle nature della terra, e dell'acqua. Passa a parlare del l'anima de' bruti, e riprovando le opinioni cir ca l'identità d'essa anima con quella dell' uo

Mon. Crea.

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mo, adduce varj pareri d'antichi filosofi. Con la similitudine d'una palla percossa dimostra che la natura opera del continuo, conservando nel proprio essere ciascuna specie; e descrive indi la natura del leone, della pantera, dell'orsa, nella quale, siccome in altri animali ancora, narrando la diligenza nel curare le proprie infermità, biasima la trascuraggine dell'uomo ne' rimedj dell' anima. Narra come la natura insegna ai bruti certi presagj dei futuri tempi ; e mostrando la Provvidenza di Dio uguale nelle grandi e nelle piccole cose, ci stimola con l'esempio della formica a pensare alla futura vita. Si diffonde quindi intorno all'accortezza della cerva nel partorire, e sulla natura della femmina e del maschio, e mostrando l'amor de' figli esser non meno che nell' uomo potentissimo ne' bruti, passa a dimostrare l'acutezza del cane; indi la sua gratitudine, e la fedeltà, di cui narra un caso avvenuto in Antiochia Passa alla lode del cavallo, ed esegerando la sua gloria ed alterezza, lo pospone all' asinello, mostrando che più ne viene dal Cielo gradita l'umiltà che la superbia. Ritorna alla Provvidenza di Dio nel creare tanta diversità d'animali; e discorrendo succintamente della natura d'alcuni, si diffonde intorno all' elefante, e mostra come tutti sono all' uomo sottoposti. Dice che non deesi biasimare la Divina Provvidenza nell'aver creato gli animali velenosi; dai quali con l'esempio di S. Paolo mostra non rimanere offeso chi confida in Dio. Parlando

quindi d'alcune specie di essi, si trasferisce agli atomi volanti, e agli animali nascenti da putridi corpi, affermando che non solo i bru ti, le piante e l'erbe, ma il mondo anch'esso fu creato perfetto. Reca la cagione, onde vengano prodotti i mostri, e perchè il concetto sia or maschio, or femmina. Indi, numerando alcuni mostruosi parti, accenna le idolatrie degli antichi, e mostra che le nature numerose ne'parti, li producono talora confusi; ed accennando l'idra apparsa in sogno a San Giovanni, soggiunge diversi mostri creduti dagli antichi, i quali dice essere alle volte segni delle minacce di Dio, da cui afferma non essere stati creati i muli, e le mule, ed essere illegittima prole: indi, recando varie opinioni di filosofi intorno alla loro generazione, assegna in qual parte più si ritrovino, soggiungendo che non solo essi, ma dalla congiunzione di diverse specie altri bastardi animali si concepiscono, di breve successione però, perchè non creati da Dio, che fece perpetua la stirpe d'ogni animale. Accenna alcune altre specie di bruti, che finge d' aver tralasciate inavvedutamente; e trasportandosi alla creazione dell'uomo, colla similitudine d'un figlio, che trattenutosi in giorno di festa tra la bassa plebe, vedendo presso il Re assiso il padre, a lui sen corre, dice che anch' egli, dopo aver dimorato fra le meraviglie di tante altre cose create, scorgendo l'uomo nel Paradiso, lascia il tutto, e si rivolge a lui solo, come somigliante a Dio. Indi, asserendo che l'umana mente

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