NELLA QUALE FURONO DA DIO CREATI I PESCI E GLI AUGELLI.
S'introduce con vaga
introduce con vaga similitudine a mostrar l'obbligo, che nel trasferirci al Cielo, nostra vera patria, dobbiamo tenere alla terra nostra nutrice. Indi narrando come tutte le acque, per divino comandamento, divenissero feconde, riprova l'opinione dell' anima sensitiva nelle piante, e passa a descrivere la varietà de' pesci, e dice perchè l'acqua a lor si convenga, e perchè non favellino. Dimostra come si faccia il suono, che formano i pesci; quali lo formino ec. Dice ritrovasi in alcuni non solo la voce, ma il sonno, e ne rende il perchè; e confutando le favole d'alcuni Dei marittimi, afferma trovarsi in alcuni pesci un non so che di pietà. Si diffonde intorno alla lor varia natura nel partorire, e nell'allevare i proprj parti, mostrando la lor progenie non esser mista, come di alcuni altri animali, ed esser vario il lor nutrimento: e descrivendo l'ingordigia de' pesci maggiori verso i minori,
l'applica agli avvenimenti degli uomini. Biasimando poi le favole dei Greci, mostra la forza e la grandezza d'alcuni pesci coll' esempio di Giona: e con vaghe metafore del ma
parla del final Giudizio, e del Vangelo. Passa alla creazione degli augelli, e prendendo motivo dal loro canto, invita l'uomo a lodare Dio: indi mostrando la somiglianza e dissomiglianza tra i pesci e gli augelli, spiega la natura dell' Api, e del Re loro, con propor ne l'esempio ai Cristiani. Descrive la vigilanza delle Gru, la difesa delle Cornici per le Cicogne, e la pietosa providenza di queste verso i loro padri: inoltre la diligenza delle Rondinelle nel curare i proprj figli, e di tutto a noi propone l'esempio. Mostra come al par to dell Alcione si tranquillano le tempeste del mare, e come la Tortorella vive solinga dopo la morte del compagno: come l'Aquila non alleva tutti i suoi figli, come la Cornice nudrisce quelli che l'Aquila rifiuta; e di tutto applica diversamente l'esempio agli uomini. Mostra come alcuni augelli concepiscano senza partecipazione del maschio, e riprovando l'incredulità degli Eretici intorno al parto della B. Vergine, spiega la natura d'alcuni altri augelli, e nel bombice ci figura la nostra resurrezione. Descrive quindi la selva ove abita la Fenice; e in lei figura la Resurrezione di G. Cristo.
L'antico abitator d'estranea parte, Che tornar pensa alla sua patria illustre, Dopo varie fortune, e grave esilio, E molti in faticosa, e dura vita Trascorsi lustri, al suo fedele albergo, Ed al cortese albergator si mostra Grato, ed amico anzi 'l partir estremo. Così noi, che bramiam di far ritorno Al ciel, quando che sia, tardi, o per tempo, Da questa men sublime opaca chiostra Della terra, e del mar, che 'ntorno inonda, Da cui molt' anni 'l nutrimento, e 'l cibo Sì caro avemmo, e sì gradito ostello; Dobbiam gli ultimi officj, e i detti, e i doni Di pietate, e d'amor; dobbiamo i pegni Di non oscura, e non mortal memoria A questa nostra si pietosa e cara
Nudrice antica, che fanciulli in grembo N'accolse, e vecchi ne sostiene, e folce : A questo mar, che ne trasporta, e pasce; A questo, onde spiriamo aer sereno. Dunque narriam, come la santa destra, Poichè in tal guisa ebbe ciascuno adorno, Di varj abitator frequenti, e lieti Facesse tutti alfin nel giorno quinto; Sicchè non vi lasciò spazio, nè clima Di vasta solitudine, e dolente,
Nè di perpetuo orrore incolto ed ermo.
Avea la dotta man del Mastro eterno Di bei fiori di stelle 'l ciel dipinto, E pur, com' occhi suoi lucenti e vaghi, Già colla Luna in lui creato 'l Sole; Quand' egli disse: l'acqua omai produca, E seco l'aria partorisca insieme Ogni vivo animal, che vola, e repe. E nel suo comandar tutti repente I fiumi diventar fecondi, e i laghi : Ei vaghi armenti, e le squammose torme De' proprj notatori 'l mar produsse : E quanto ancor d'immondo e di palustre Limo è ripieno, e senza corso, o moto Ristagna, ed impaluda in pigro letto,
Sortì'l proprio ornamento, e 'l proprio onore, E non rimase neghittoso, o voto, Allorchè Dio creò di nuovo il mondo; Ch'immantinente gracidar nascendo Nello stagnante umor rane palustri. E si fatti animai nasceano insieme; In guisa, ad eseguire 'l sommo impero, Si mostrár l'acque frettolose, e pronte. E tutti quei, di cui potriansi appena Le varie sorti annoverar, parlando, Subito nati, in operosa vita,
E sè movente, disegnaro a prova Di quel, che gli creò, l'alta possanza, Che narrar non si può con lingua umana. Ed allor prima fu creato, e nacque Dotato l'animal d'alma, e di senso. Perchè le piante, e le frondose sterpi Degli arbori, ch' al ciel spiegár le chiome, Bench' abbian vita, onde si nutre, e cresce
Dall'umide radici 'l verde tronco, Animali non son, uè 'n cara dote
Ebber dal Padre eterno 'l senso, e l'alma, Onde sentiamo, sì diversi obietti: Benchè vi sia chi non dineghi, e toglia Alle scorze selvagge, ai rozzi tronchi Un inchinarsi, un ripiegar se stesso, Un distender i rami in cara parte, Ch'è quasi un moto di frondose braccia Per secreto desio d'amore occulto. E nelle piante ancor stupido senso Conobbe alcun antico, o che gli parve. Ma resti pur questa sentenza errante In quel silenzio, a lor cotanto amico. Come si șia, creati il quinto giorno Fur gli animanti, a cui non lega, e 'ndura Rozzo e tardo stupore i pigri sensi. E qualunque animale, o repe, o guizza, O nel sommo dell'acque, o pur nel fondo, Prodotto fu per ubbidire al suono
Della divina ed immutabil voce.
Ne, in pochi e brevi detti, alcun rimase Escluso dal sovrano eterno impero. Non quei, che l'animal, figliando in parto, Soglion vivo produr, delfini, e foche: Nè meno 'l picciol pesce, onde sovente La man del pescatore a fune avvolta, Per secreta virtù stupisce, e torpe: Non chi l'ova produce; o chi si copre Di molle squamma, o di più dura scorza: Non quei, c'hanno le penne, o pur non l' hanno. Ma tutti fur nelle parole accolti,
E quasi inchiusi sotto certa legge,
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