ni, ec. Adduce, e riprova la somiglianza del Sole e della Luna alle due parti dell anima: e mostra come la parte agente fosse creduta Dio. Dice la varietà della Luna esser giovevole, da essa derivando la causa della commozione de venti, e dell'agitazione del mare. Prosegue a dire che nel tempo stesso furono fatte le stelle, e reca la differenza tra quelle e le comete. Riprova l'opinione degli antichi sulla via lattea; assegna breve tempo alla Cometa regia; nè vuole che in ogni luogo appaja, e che sempre sia nocevole. Afferma che la stella de' Magi fu opera nuova di Dio. Narra la separazione fatta tra il Sole, e le Stelle, alle quali ascrive diverso corso e fine: confuta il parere d'Aristotele circa il numero e l'ufficio delle Intelligenze, e con l'esempio dei Re terreni, mostra che debbono essere infinite; e che di continuo s'accrescono le anime in cielo per mezzo del Battesimo. Segue, descrivendo il corso de' cieli: forma l'anno, costituito di dodici mesi, ed espone che cosa esso sia, variandosi le sue parti dal vario corso del Sole: il quale, or con allontanarsi, ora con farsi vicino, cagiona non meno l'arsura, ed il freddo, che la diversità de' giorni e delle notti. Descrive Eclittica, da cui dice non uscire il Sole, indicando la dritta via della vir tù. Paragona il mancamento di luce talvolta nel Sole allo splendore della Fortuna; e dicendo che Dio solo non patisce tal difetto, accenna l'ecclissi nella sua morte. Adduce le opinioni di varie Sette intorno al nascere, al cadere, ed al variare del corso di ciascun Pianeta, le quali tutte riprova. E concludendo da alcuni segni del Sole e della Luna prevedersi la condizione de' tempi, ascrive il tutto alla volontà di Dio.
Quel, che rimira le contese, e i pregi
Dei lottatori, o di chi leve al corso Le membra ignude in di solenne affretti; O di guerrieri pur l'imprese e l'arme, Diverse in largo campo, o 'n chiuso arringo, E i duri incontri in torneamento, e 'n giostra ; Sente in se stesso un movimento interno, Ond' è commosso, e concitato insieme Con quei, che fan tra lor dubbio contrasto : E col suo proprio affetto inchina, e pende Più sempre ad una parte: e brama, e spera La vittoria da quella: e spesso innalza, Per rincorar i suoi, la voce, e'l grido . Così chi di celesti obietti eterni, E delle cose smisurate e grandi, Mira le meraviglie; o pure ascolta Quel, ch'ogni stima, ogni giudicio avanza Dell' inerrabil sapíenza ed arte;
Convien che seco, anzi in se stesso apporti Gl'impeti interni, e 'l vivo ardore, e 'l zelo Fervido, a contemplar rivolto e fiso Tai cose e tante, in pochi giorni al suono Fatte della divina, eterna voce.
E dee con ogni forza insieme accolta, Come compagno, e come fido amico, Trovarsi nel contrasto, e dar aita,
Perchè non si nasconda, e non s'adombri
La verità: ma senza inganni, o falli Risplenda, e di sua luce i cori illustri. Ma che dico? ed a chi ragiono, e parlo? Mentre in sì faticosa e giusta impresa Quasi ardisco di porre i cieli in lance, E pesar l'universo appeso in libra,
Le prime opre narrando, e i primi giorni, E i natali del mondo: e i primi, e gli alti Principj suoi non ricercando a caso Fra le menzogue della Grecia antica; Dove per suo voler s'accieca, e perde Altri, filosofando, il dritto lume: O pur nell' Accademia, e nel Liceo: O nell' error del tenebroso Egitto; Ma da colui, che fuor ne trasse, e scorse I fidi suoi per mezzo'l mar sonante. Egli mi tragga ancor sicuro a riva Da questo si turbato e sì profondo Mar d'ignoranza, e di superbia umana. Anzi pur tu, che lui rassembri, o Padre Sommo, e rinnovi 'l primo e santo esempio; Tu, che somigli lui, somigli ancora Il Re del cielo, ond' ei fu quasi immago, Ma pur nascosa fra gli orrori e l'ombra Del secol prisco; e tu se' l'altra or verà Spirante immago, e simolacro illustre Dell'alta gloria sua, che nulla adombra, Onde co'raggi suoi riluci, e splendi. Piacciati tanto al mio turbato ingegno Compartir di quel santo e puro lume, Che trasfuso da te, conduca, e scorga L'alme gentili, e i pellegrini spirti. E se giammai gli occhi levaro in alto
In bel sereno lucido, notturno All' immortal beltà dell' auree stelle, Pensando all' opre del Fattore eterno ; Chi è colui, che fece 'l cielo adorno, E tutto 'l variò, quasi dipinto
Con sì diversi fior di luce e d'auro: E come nelle cose esposte a'sensi Necessità tanto 'l piacere eccede : E se 'n tal guisa fur mirando apprese Del sommo Dio le meraviglie eccelse: E da quel, che si vede, e scopre agli occhi, Fur note poi l'altre invisibil forme; Posson ben questi empier le sedi intorno Di questo sacro a Dio teatro, e i gradi, Ove la gloria sua si narra, e canta.
Oh! possa io pur, siccome guida e scorta,
Ch'ignoto peregrin conduce intorno, E gli edificj, e le mirabili opre
Di famosa città gli addita, e mostra, Cosi condur le peregrine menti De' mortali quaggiù, mai sempre erranti, Alle sublimi meraviglie occulte
Di quest'ampia città: di questa, io dico, Città celeste, ov'è la patria antica Di noi figli d'Adamo, e l'alta reggia, In cui gli eterni premj il Re comparte . Ma poi scacciati in doloroso esiglio Fummo dal micidial Demon superbo, Che pria dolce n'adesca, e poi n'ancide D'eterna morte, e 'n servitù n'adduce A' duri lacci del peccato avvinti Con nodi di fortissimo adamante. E qui potran veder sicuri e certi,
Della nostra immortale e nobil alma L'alto principio, e la celeste origo, E quella, che repente indi n'assalse, Orrida, spaventosa e fera morte, Che del peccato è dolorosa figlia : Del peccato, ch'è prole, e primo parto Del superbo Demonio, a Dio ribello, Principe di malizia, e quasi fonte, Ond'ogni mal fra noi si versa, e spande. Qui conoscer potran se stessi ancora, Che per natura son terreni e frali; Ma pur della divina e santa destra Dell'eterno Signor fattura ed opra: E conoscendo le medesme alzarse A conoscer Iddio, che fece'l tutto. Ed adorare'l Creator del mondo,
E servire al Signor, dar gloria al Padre : Amar quel, che ci nutre, e ci conserva, Lodar quei, ch'i suoi beni a noi comparte, Principe a noi dell' una, e l'altra vita dell'una,
Caduca, ed immortale in terra, e 'n cielo, Apprender qui potranno. E sazj e stanchi Non saran mai di celebrarlo a prova; Perch' ei co' doni, onde arricchisce, e illustra, E fa lieti quaggiù gli egri mortali, Conferma ancor le sue promesse antiche De' tesori celesti, e dell'eterno
Regno divino, ove ne chiama a parte; E l'umana speranza innalza, e folce, Che sempre per se stessa a terra serpe. Ma se le cose, al variar de' tempi Quaggiù soggette, son pur tali e tante, Quali e quante fien poi l'eterne in cielo ?
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