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Là, dove sempre di gelato umore
Gravidi e pieni son gli orridi monti,
Lo qual compresso in mar si stilla e versa.
E perchè la gelata alta palude,

Che l' Aquilon superbo astringe, e 'ndura,
È più sublime assai: però discende'
Nell' inospite Eussino: e quel trascorre
Nel mare Egeo col suo veloce flutto:
Ma poi respinto d'arenosa piaggia
Fa l'Egeo nell'Eussin ritorno, e riede
L'Eussin nella Meotica palude:

Quinci hanno i mari ognor flusso, e reflusso.
Alcun vi fu di più sublime ingegno
Ch'a non giuste bilance 'l mar somiglia;
Ed una parte sua solleva in alto,
L'altra deprime all'arenoso fondo:
Ma da quel favoloso antico varco,
Ove Alcide innalzò le mete, e i segni,
(Come si disse) e dall' ondose porte
(Se pur sue porte ha l'Ocean profondo)
In guisa di torrente 'l mar si sgombra
Di seno in seno, e con diversi aspetti
Egli se stesso pur figura, e stringe
Tra i curvi lidi e l'arenose sponde.
Anzi fu l'alta man del Mastro eterno,
Che 'n tante forme figurollo, e finge,
Or facendo 'l mar lungo, or tondo, or quadro;
E'n guisa di piramide, e di croce
Anco formollo, o di mirabil vaso;
Siccome là, dove 'l Tirreno inonda
Di Partenope bella i lidi, e i colli,
Gran tazza colma di spumoso umore.

Ma qual si sia del mar la forma, o 'l moto,

Posa diurna mai, posa notturna

Non trova, nè silenzio in chiaro tempo,
Od in turbato, ed in orror profondo,
Benchè i silenzj nell' amica notte
Abbia la Luna. Io la cagion primiera
Non reco al Sole, od alle stelle erranti,
Non a' raggi di Luna obliqui, o dritti,
Non al ritorto respirar la rendo

Degl' inquieti venti, al vario fondo,
In cui s'appende 'l mar sospeso in lance :
Chè la prima cagion fu l'alta voce,
Movendo 'l cielo in giro, e i mari insieme,
De' quai (com'altri disse) in giro parte
L'onda, ed al suo principio in giro torna.
Deh! se giammai sovra una viva fonte,
Che d'acqua intorno larga copia spande,
Sedesti lasso; e nel pensier t' occorse,
Chi è colui, che fuor del seno algente
Della profonda e tenebrosa terra
Manda fuor l'acqua? e chi la spinge avanti,
Perch'ella mai non cessi, e non s'arresti?
Quai sono i vasi, e le spelonche interne,
Da cui deriva? ed a qual loco affretta

Mai sempre 'l corso? ed onde avviene, e come,
Che questa mai non manchi, e quel non s'empia?
Questi effetti sì ascosi al nostro senso
Pendon da quella prima e chiara voce,
Ch'all'acque indulse, e le fe' pronte al corso.
Tu, che volgesti pur le antiche carte,
E spesso volgi le moderne illustri,
Ricorda pur fra te, come rimbombi
Di quella prima voce il chiaro suono.:
« Si ragunino l'acque »; e quinci innalza
Il tuo pensiero alle cagioni eterne

Il correr pria fu necessario all' acque
Per occupar la certa ed ampia sede.
Giunte nel propio loco a lor convenne
In se stesse fermarsi, ed oltra 'l corso.
Non affrettar con un perpetuo errore.
E quinci certo avvien ch'alfin si scorga
Ogni torrente in mare, e'l mar non s'empie:
Perchè fu dato in sorte all'acque il corso,
E circoscritto entr' a' confini il mare,
Com'impose 'l buon Re, che fece 'l mondo.
E quel suo comandar fu prima legge,
Legge eterna e comune, a cui rubella
Non è natura, e tra gli spazj angusti
Queta'l mar violento il fero orgoglio.
Se ciò non fosse, ei già diffuso e sparso-
Coperto avria con un diluvio eterno
La bassa terra, ch'ei circonda, e parte.
Nè quel di lei, che fuor dell'acque appare,
Picciolo spazio ei lascerebbe intero
A' faticosi e miseri mortali .

Quando agitato è più fra tuoni e lampi
Dal gran furor de' procellosi spirti,
E volge al lido, e sino al cielo innalza
Gran monti d'onda rapidi e spumanti;
Appena tocca l'arenose rive,

Che'l suo furor si frange, e'n lieve spuma
L'impeto si dissolve, e rotti e sparsi
Caggiono i monti, ond'ei ritorna indietro...
Qual dell'arena più minuta e vile
E debil cosa più trovar potresti ?
O qual più violenta e più superba
-Dell'orgoglioso mare? e pure a freno,
L'arena tien del mar l'orgoglio e l'ira.

Mon. Crea

5

E non temerem noi quel Re superno,

Che

pose al mar con sì mirabil arte Per termine l'arena? e perch' uom pensi Al magistero, egli medesmo il dice.

Qual potrebbe altro intoppo, e qual divieto, Qual podestà terrena, o legge, o forzá, Tener il rosso mar sublime, o gonfio, Ch' all'Egitto, di lui più cavo e basso, Fatt' avria prima impetuoso assalto, E lui sommerso entr' a' suo' vasti abissi? Già coll'Indico mar si fora aggiunto Senza fatica, e senza ingegno, od opra Degl'industri mortali, e senza'l vanto De' superbi tiranni. Il gran Sesostre, Ch'i Regi catenati al duro giogo, Quasi cavalli o buoi, soggetti a forza Tenne, e tragger li fece 'l proprio carro Per le già dome e soggiogate genti: Quel Sesostre, dich'io, terrore, e scempio De' regni d'Aquilone, ov' egli in alto Pose la sede (e ben di ciò si vanta Con fama antica'l favoloso Egitto), Quell' istesso Sesostre 'l mar degl' Indi, E l'Eritreo tentò d'unire insieme Con quel d'Egitto e la mirabil opra Il Re possente abbandonò, temendo Che sommersa dal mar la verde terra Non rimanesse, e quell' istessa tema Poscia ritenne 'l successor di Ciro .

Eran, quando fu dato 'l corso all'acque,
Pieni di cavernosi e curvi monti

Gli antri, e le tenebrose atre spelunche,
E le valli palustri in varie forme

Pendenti, ed ime infra montagne e colli:
E quasi eguali al mare i larghi campi
Eran già colmi d'argentato umore:
E tutti insieme si votár repente
Al comandar della divina voce,

Da cui l'acque fur mosse, e'ngiù sospinte
Dalle quattro del mondo avverse parti,
E'n una ragunanza insieme accolte.
Anzi nel tempo istesso allor costrutti
Per opra fur della divina destra

I larghissimi vasi, i fonti, e l'urne,

E gli altri lochi, in cui s'accoglie, o versa.
Non era ancor di là dal varco angusto,
Che divide coll'onde Abila e Calpe,
Anzi Libia ed Europa, il mar d'Atlante,
Nè quel si paventoso a' naviganti
Tempestoso Oceàn, che 'ntorno inonda
Di Geríone i fortunati regni,

E l'Inghilterra, e la vicina Irlanda :
Ma fur di quella voce al gran rimbombo
Fabbricate le rive, e'l vasto letto,
In cui si ragunár l'acque correnti .

Nè 'ncontra 'l vero insuperbire ardisca
L'esperienza de' mortali erranti,
Fallace e vana, a cui di pochi lustri
Il brevissimo spazio orgoglio accresce.
Perchè, dich' io, se ben riguardi, e pensi
Il numero de'secoli volanti,

A lui non giunge esperienza umana.
E non adduca incontra noi l'esperto,
Che del mondo cercò le parti estreme,
Fosse, stagni fangosi, imi e palustri
Laghi, in cui si raccoglie il pigro umore,

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