L'alta Libra celeste agguaglia in lance. Indi lo Scorpion del cielo usurpa
Più del suo giusto spazio; e par ch' ei faccia Colle branche ad Astrea lucida libra. Il Sagittario ha nell' orribil destra L'arco piegato, e 'l Capricorno'l segue Con fier sembiante: e del gran Sole al corso Par ch' egli sia lassù di nuovo intoppo, E ritenga le notti algenti, e pigre. Risplende dopo lui con lucid' urna Il Fanciullo Trojano. E'n una stella Luminosa catena, ed aureo nodo Fan di squamosa coda umidi Pesci. Così nel cerchio obliquo i Segni ardenti Poi figurò nel cielo il secol prisco.
Altre immagini a destra, altre a sinistra Verso il fredd' Aquilone, e'l nubil Austro Collocò poscia, e i chiari nomi impose. Vicina al Polo, che s'innalza, e scopre, Con brevissimo giro intorno ruota L'Orsa minor, che già fu scorta, e segno Della Fenicia a' naviganti audaci. Di sette stelle poscia adorno'l vello L'Orsa maggior fa brevi giri, e lenti; L'Orsa, ch'a'Greci in tempestoso mare Fu già fidata duce, e segno amico. Par ch' ei le gridi appresso ad alta voce Il suo pigro Boote. E'l fiero Drago Fra l'Orsa fiammeggiando orrido serpe. Cefeo poser non lunge; e d'Arianna La stellata corona; e 'l grand' Alcide, E la Cetra col Cigno. E l'altro figlio Del favoloso Giove in ciel sublime,
Cui d'Aquilone'l fiato aspira, e d'alto Il fiede: a Cassiopea la destra ei tende; E i piedi alzati vincitore al Cielo Porta, quasi di terra alzato a volo Polveroso, e repente; e'ntorno al manco Ginocchio con tremante, e debil luce, Le stelle picciolette anco locaro, Che Vergilie chiamò l'età vetusta: Segno del ciel d'oscuro, e picciol lume, Ma pur di nome ancora e chiaro, e grande, Perchè i principj della State illustra, E gl'industri mortali all'opre invita: Perch'è già tempo ch'all' antica madre Confidi'l buon cultore il seme sparso. Qui insieme collocár sublime auriga, Che di serpente i piè nel carro ascose, Ed Esculapio (o così parve) all' angue Raffigurato. E la Saetta accesa Di cinque stelle, e l'Aquila superba ; E'l guizzante Delfino, e'l gran Pegaso, Che già portò Bellerofonte a volo. E la figlia di Cefeo, e 'l Delta appresso; E quella immago, che figura, e segna L'Isola, che tre monti innalza in mare; E del nudo Monton l'oscura testa
Del suo splendore 'nfiamma; e'n quella parte Alle vie degli erranti è più vicina. Dall'altre verso 'l Polo opposto all' Orse, Press' al torto viaggio è il fiero Mostro, A cui fu ignuda esposta in riva all'acque Andromeda legata al duro scoglio:
che 'n cielo ancor di lei ricerchi Già lontana, e sicura in parti eccelse,
Ricoverata d'Aquilone all'aura . Ed Orion di fiamme armato, e d'auro V' immaginár, che nella notte estrema, Allorchè nasce Scorpio egli s' asconde: E l'immagin del Fiume ivi risplende D'eterno foco. E timidetta Lepre Fuggir di can veloci i fieri morsi Vi figuraro, e'l minor Cane ardente Di rabbia 'l cielo ancor nascendo attrista Coll'infelice lume, e i campi infiamma; E dopo l'altro a noi sorgendo appare. Ma prima a quei, ch'oltra l'obliquo cinto Abitatori son di terra adusta,
Argo conversa in ciel si volge addietro Con proda oscura, e fa ritroso corso: Ma l'altra parte ha luminosa, e illustre . Qui l'Idra, e'l Vaso, e'l Corvo, e'l gran Centauro; E qui risplende 'l Lupo, e qui l' Altare. Altra corona ancor di stelle adorna Da questo lato 'l cielo, ed altro Pesce In più lontana parte in lui risplende : Il Pesce, ch' adorò ne' proprj alberghi, Siccome proprio Dio, l'antica gente Di Siria abitatrice; a cui non basta Farlo in magion terrena e divo, e nume; Ma nel cielo'l figura, e 'n ciel l'adora, Fatto, come stimò, nel cielo eterno.
O delle pazze genti antico errore, E prisca fraude, e mal nodrito inganno, Che torse'l mondo al culto iniquo, ed empio; E di cerchi, e di stelle in un congiunte Vane figure, immaginate indarno
Contra la provvidenza, e contra 'l vero!
O vana sapíenza, e vano ingegno Della natura umana in Dio superba!
Van pensier, vano ardire, e vano orgoglio, Che'n ciel presume annoverar le stelle;
E quaggiù le minute inculte arene, E misurar gli smisurati campi
Della terra, del mar, del ciel profondo; E terminar degl'infiniti abissi
L'altezza, e'l fondo; e por costante meta A questo spazio della vita incerto; E prescriver de'fati eterna legge, Serva facendo la natura a forza; E'l libero voler, libero dono,
Cui non vince, nè forza, stella, od astro. Egli all'incontro signoreggia, e vince; E può rapire'l gran regno celeste Con violenza, se d'amor s'infiamma; Ma d'altro amor più santo, o d'altre fiamme Di quelle, onde l'età vetusta, e folle Coll'immagini sue mentite e false Tento di far quasi profano immondo Del cielo 'l luminoso, e puro tempio. Poco era dunque del lascivo Cigno Furto amoroso, o d'Aquila ministra, Non di folgori più, nè d'ire ardenti, Ma di pianeti, la rapina ingiusta, E la corona d'Arianna, e mille Favole vaghe, e favolosi amori,
Che Grecia aggiunse alle menzogne antiche Di Babilonia, e del superbo Egitto; Se d'Alessandro'l successor novello
Non aggiungeva ancor la tronca chioma Di Berenice all' altre stelle ardenti?
Tanto lece a' mortali adunque 'n terra, Ch'osan di far, non sol di rozza pietra, O di ruvido pur selvaggio tronco Dei lor terreni, ed Idoli superbi; Ma fanno oltraggio alle nature eterne, Ed alla gloria de'celesti giri?
Chè delle stelle è gloria'l chiaro lume, Ond'è stella da stella in ciel diversa. Ma quei già non dovean sì pure forme Farsi cagion di sì dannoso inganno; E'n tenebre cader da pura luce, Precipitando negli oscuri abissi: Anzi salire a Dio di lume in lume, E riconoscer Lui nell'opre eccelse, Che son del suo splendor faville, e raggi . Dio solo è quel, che numerare appieno Nel mar puote le stille, e 'n ciel le stelle. E Dio pose a ciascuna 'l proprio nome, Onde chiamata al suo Signor risponde, Pronta al servizio del sublime impero. E quai fidi guerrier locati in guardia, Nella più tenebrosa oscura notte Giran le mura vigilando attorno: Tai circondano ancor notturne, e preste L'alte parti del ciel le stelle ardenti, Come lor pria dispose'l Re superno, Lo qual non Orso, non Leone, o Drago, Non Aquila sublime in ciel dipinse D' eterni lumi, e di perpetue fiamme; Non altra forma, che nel mar profondo, O'n fiume si rimiri, o 'n monte, o 'n bosco : Ma quella Croce, ove 'l suo Figlio estinto Trionfar poi dovea de' regni Stigi,
« ПредишнаНапред » |