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LA

BILANCIA CRITICA

DI

MARIO ZIT0

In cui bilanciati alcuni luoghi, notati come difettosi, nella Gerusalemme liberata del Tasso, trovansi di giusto peso, secondo le Pandette della Lingua Italiana.

PROEM10

Fu un gran miracolo della divina Sapienza nel breve spazio del volto umano racchiuder tanta diversità di sembianze; ma non minor maraviglia ell'è, che niuna tra l'anime ragionevoli uniforme già sia, e dello stesso ingegno dotata. Quindi inse gnarono i Platonici, che l'anime nello spiccarsi dalle stelle per discendere ne' corpi, bevessero nella coppa di Bacco ch'è situata in Cielo fra il Leone ed il Cancro, e che fatte ebre e piene d'oblivioue, non sapessero poi dar giudizio sincero delle cose. Da cotale incostanza degli umani giudizj si trasse per conclusione costante, che negl' ingegni sia divario; non potendosi prescrivere regola certa e comune a tutti nel giudicare. E sarà sempre impossibile di arrivarsi alla tempra d'uno inchiostro cosi purgato, che finisca di soddisfare alla veduta di tutti; non potendosi aguzzar tanto bene l'ingegno che ferisca universalmente tutti gli affetti. Da alcuni si ricevono applausi : da alcuni reticenze: da alcuni ghigni di poco gradimento. Così addivenne nel teatro, dove ritrovossi una volta Filone. Men

tre recitava uno scrittore alcuni suoi componimenti, vide egli molti coll'applauso dar segno di soddisfazione: altri colla stupidità palesare il poco diletto: altri col turarsi l'orecchie dichiarar l'odio conceputo per le sciocchezze, come credevano, di quell' autore. Insomma i pareri sono diversi: ed han soggiaciuto a queste leggi tutti coloro che han fatta gloriosa la Repubblica delle lettere; poichè niuno de' più rinomati scrittori ha riportata giammai lode netta nelle sue lucubrazioni, quantunque sudate alla lucerna d'Aristofane.

Omero è paruto a molti il Platone dei poeti, l'oceano del sapere; onde acquistossi appo alcuni scrittori il titolo di divino: pur da Lodovico della Cerda e dallo Scaligero sono notate mille imperfezioni ne' suoi poemi: sorte toccata a tutti gli altri scrittori, così in poesia, come in prosa, siccome va notando minutamente un moderno (1); poichè non son mai mancati nel mondo i critici sfaccendati, che si hanno usurpata licenza di sindicare altrui, contaminando il balsamo prezioso d'un inchiostro erudito con putride gocciole di biasimo velenoso. E sempre sono stati coloro, che in ogni rosa hanno scosse le frondi per trovare il vestigio delle cantaridi; ed in ogni fabbrica sono andati scalcinando la tonica per ritrovarvi il pelo.

E verissimo adunque, che non ad ognuno pienamente si piaccia; poichè Giove stesso non può soddisfare a ciascuno, come avvisa Teogni: Neque Juppiter ipse sive pluat, sive non, unicuique placet. Non tutti hanno i talenti di Nicostrato, che piaccia universalmente alla Grecia ; nè può ciascuno aver del Roscio, che soddisfaccia a tutti i Romani. La lingua si esercita secondo la passione che la spinge, non secondo la verità. Ciascuno giudica secondo il proprio affetto: Ex alienis affectibus æstimamur, disse il Teologo di Nazianza.

Due cagioni furono assegnate alla facoltà del poe(1) Battis. Gior. Accad.

tare, naturale l' una, avventizia l'altra. La naturale è una certa felicità dell' ingegno, l'avventizia è l'impulso dell' arte che, secondo l'opinione dei matematici giudiciarj, dalla costituzione de' pianeti deriva. L'una e l'altra, al credere degl' intendenti, si trovò perfettamente nella grand'anima di Torquato Tasso; poichè così nell'affluenza del verso, come nell'artificio del poetare diede gran mostra di eccellenza. E pure s'incontrò nella critica di molti ingegni; e la sua Gerusalemme provò l' armi d'un' Accademia intera, che affaticossi per demolirla: alla quale intrepidamente si oppose, perchè restasse liberata, una schiera d' uomini valorosi. Nè cessano fin'ora i rimbrotti contro quel nobile artificio di ben tessuta epopea. E benchè resti oggimai chiarito fra' dotti, quanto in quel poema venga 08servato il costume, e quanto ammirabile sia nell'invenzione, nell' imitazione, e nell'unità; pur altro non potendo un moderno (è forse un di quei, che va cercando il pelo nell'uovo), dà taccia a questo famoso scrittore di poco osservante delle regole della italiana favella. Ed appoggiato ad una delle Lettere Discorsive di Diomede Borghesi dirizzata a Matteo Botti, in cui dice del Tasso: Non reputo già che esso, versificando o prosando, scriva in tutto secondo le regole e con intera purità di lingua; va di questo nobil poeta notando alcune voci, che sembrano al suo intendimento difettose e poco regolate secondo la purità della purgata lingua italiana.

Troppo si mostrano severi questi sindici di Parnaso (per così dire) in annotare si leggieri errori (quando errori pur siano) in un poema, che per ogni altro rispetto vien riputato degno di lode. E noto bene con quanta fatica i poeti si ingegnino nelle lor favole, e con quale industria le materie dispongano; onde sembrami troppo gran severità l'andar dietro a minuzzoli di parole; e penso che ciò solo sia fatto per mostrar sottigliezza d'ingegno. Puré sentasi quel che di ciò dice Orazio:

Sunt delicta tamen, quibus ignovisse velimus;

Nam nec chorda sonum reddit, quem vult manus et

mens:

Poscentique gravem persæpe remittit acutum;

Nec semper feriet quodcumque minabitur, arcus.(1) E veramente pare ad Orazio stesso (quantunque severissimo giudice de' poemi) perdonare qualche cosa, dove molte, come buone rilucono:

Verum ubi plura nitent in carmine, non ego paucis Offendar maculis etc.

Ne volle mancar Quintiliano di rendergli scusabili in quelle parole: In magnis quoque auctoribus incidunt aliqua vitiosa, et a doctis inter ipsos etiam mutuo reprehensa (2). Ed avea prima detto: Neque id statim legenti persuasum sit, omnia quæ magni auctores dixerint, utique esse perfecta. Nam et la-. buntur aliquando, et oneri cedunt, et indulgent suorum ingeniorum voluptati; nec semper intendunt animum, et nonnunquam fatigantur: cùm Ciceroni dormitare interdum Demosthenes, Horatio verò etiam Homerus ipse videatur. Ed è pur troppo vero che

Quandoque bonus dormitat Homerus . (3) Ma cio non bastando per la difesa del Tasso, andero portando tutti i luoghi notati dall'avversario colle sue opposizioni distintamente, e procurerò al meglio, che alla debolezza del mio ingegno sarà conceduto, difendergli e dilucidargli, col mostrare che non fu senza regola, o almeno senza la scorta de' migliori, posta linea (per così dire) da quel grand'uomo in quel suo nobil poema. Nè posso credere, che l'affetto ch'io porto alle composizioni di quell'ingegno rarissimo, mi abbia potuto far veder torto in quello ch'altri riputa d'errore, non essendo tanto disordinato l'amore, che mi abbia tolto dal dritto conoscimento. E comecchè io in ciò non proceda per malvagità d'animo, che da me fu sempre lontana, procurerò di ribattere l' oppositore con tut ta quella modestia che sia possibile, lasciando i

(1) Horat. de Art. (2) Quint. l. 10, cap. 2. (3) Horat. ibid.

motti, l'arguzie e la vivezza del parlare a' critici ed a' malevoli. E quantunque per ragion di educazione e d'idioma non sia obbligato a sapere tutte le minuzie d'una purgata favella; pure, scrivendo in pura lingua italiana, procurerò di mostrare che purgatamente il Tasso abbia scritto (contro l'altrui opinione), e con ragioni autorevoli e con gli escmpli de' buoni. Ed eccomi sull'opra.

OPPOSIZIONE I.

(C. 1. St. 23.) « Espugnar di Sion le nobil mura ».

Nobil riprendevolmente si dice dal Tasso. Girolamo Ruscelli ne' suoi Comentarj della lingua italiana, nel libro secondo, al capo decimoquinto, vuole che niuno scrittore di rima, o di prosa possa accorciare i nomi nel numero del più, che finiscono in l . E quindi si oppose al Dolce, che più fiate il facesse nella sua traduzione d'Ovidio. E Jeronimo Muzio nelle sue Battaglie al capo decimosesto emendò quel

verso:

Rotto fra picciol sassi il correr lento, con dire:

Mormorando fra sassi il correr lento; non piacendogli quell'accorciamento picciol.

RISPOSTA

Che si fosse ingannato l'oppositore Ruscelli, e che si fossero parimente ingannati i calunniatori dell'Ariosto, che biasimar lo vollero, ch'ei dicesse-I giovanil furori - gl'immortal trofei, chiaro il dimostra Diomede Borghesi: nè sia nojoso il rapporto di sue parole. Dic' egli: Il Ruscelli troppo arditamente dice ne' suoi Commentarj della lingua italiana, che i nomi che hanno nell' ultima sillaba la 1, non possano essere accorciati nel maggior numero, e perdere l'ultima vocale. Perocchè, quantunque ciò si verifichi ne più, e specialmente in quegli

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