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stra lingua. Fu il Bembo uno degli esatti investigastori delle cose di lingua purgata; pur egli sopracciò così va dicendo: Comecché quei eziandio in quello del più si dica, e in ciaschedun caso assai sovente da' poeti, e alcuna volta ancor questi, ec; (1) osservandosi ch' ei dica: In ciascun caso assai sovente da' poeti ec. Pur chi volesse conoscere che il Bembo si mostrasse rigoroso, anzichè nò, in questa regola, concedendo ciò solo a' poeti, legga l'opere di Giovanni Boccaccio, e vederà chiaro che non meno a' poeti, che a'prosatori comune ella sia. E che non alcuna volta come il Bembo disse, spessissime fiate questi e quelli in ciaschedun caso si trovi, ne apporterò solo qualche esemplo, per dar giusto peso alla bilancia, e far conoscere al censore, che troppo rigido mostrato si sia col Tasso. Dicesi dal Boccaccio nel proemio del suo Decamerone, opera in cui egli maggiormente osservò purgatezza di lingua: Io sono uno di quelli, ec. E poi segue appresso: A quelli almeno, a quali fa luogo alcuno alleviamento portare ec. (2). E così parimente dall'istesso altrove si dice: Nacquero diverse paure e immaginazioni in quegli, che rimanevano vivi ec. E così altrove: Son nato per madre di quegli di Vallecchio ec. (3). E del modo stesso: Massimamente veggendosi guatare a quelli, che v ́eran d'intorno ec. (4). E così questo pronome ben cento altre volte usato venne dal medesimo scrittore; onde scorger possiamo, che non commettasi errore alcuno in usar quelli e questi in casi obliqui. E l' opere del Caro, e le prose del Varchi da per tutto piene ne sono. Ed è falsa l'opinione d'alcuni, i quali vollero che solo nel numero del più si usassero questi pronomi in casi obliqui; perciocchè l'istesso si vede praticato anche nel numero del meno. Nè mancano in prova di ciò gli esempli, pieni essendone i libri più purgati che vanta l'italiana

(1) Bembo, Prose l. 3. (2) Boccac. Proem. del Dec. (3) e gior. 1, novel. 17. (4) e novel. 84.

Controv, T. IV.

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favella; pure, acciocchè in ciò la bada non sia molta, lasciando di far lungo catalogo di scrittori, porterò in mezzo un' autorità dal Boccaccio medesimo, il quale siccome è uno de' primi oracoli della buona lingua, così una sola sua autorità può bastare e per chiarezza della cosa, e per difesa di ogni scrittore, che in caso obliquo anche nel numero del meno questi pronomi usati avesse. Nella canzonetta, che si trova nella novella novantesima settima, dice quegli nel numero singolare:

a

Poiché di lui, Amor, fu innamorata,
Non mi donasti ardir quanto temenza,
Che io potessi solo una fiata

Lo mio voler dimostrare in parvenza
A quegli, che mi tien tanto affannata.

E ciò basti per rispondere all'opposizione fatta al
Tasso, nell' usar queste voci in casi obliqui.

OPPOSIZIONE XVIII.

(St. 89) « Ad altri poi, ch'audace il segno varca ».

Non fu meno errore di questo poeta l'avere usato quelli e questi ne' casi obliqui, essendo voci assignate a' retti, di quello che qui è il dire altri, invece d'altrui; questa voce essendo regolatamente degli obliqui, e quella solamente de' retti: regola severamente dataci da' maestri. E spesso in quest' er'rore egli cadde, siccome allora che disse nel canto quinto, stanza 6.

Che'n altri è providenza, in noi viltate.

RISPOSTA

E in ciò parimente non errò il Tasso, usandosi il dire altri e altrui indifferentemente ne' casi obliqui, rompendo la regola lasciataci da' maestri. Nella Raccolta degl' Illustri disse Niccolò Tiepolo:

Che tutto quel, ch'ad altri saria greve.

E nella stessa Tommaso Castellani:

Ma quel ch' ad altri nuoce, è sol radice
Del nostro ben ec.

Nè ciò schifo Monsignor della Casa :

Repente ad altri amor dona, e dispensa (1). E Benedetto Varchi:

Ch'ad altri rado, e forse mai non feo (2). E se ne servi nelle prose altresì, dicendo nell'Ercolano: Il Robortello non ha difeso sè; pensate come difenderà altri. E altrove nel medesimo dialogo: Se ad altri voi, o M. Lelio Bonsi, le direte mai. Conobbe tutto ciò Adriano Politi, onde nella lettera al Pannocchieschi, all'oppositore che 'l contrario teneva, così rispose: Il censore s'inganna all'ingrosso, se crede che il pronome altri nel maggior numero sia del retto solamente, e non serva a tutti i casi, non solo secondo l'uso nostro di Siena, ma anco degli scrittori antichi, come ben mostra il Borghesi nella lettera al Sig. Ippolito Augustini, dove cita infiniti luoghi, a questo proposito, del Passavanti, del Boccaccio, del Petrarca, e del Casa. E così fu moltissime fiate usato dal Caro nella sua Apologia. Ed il Pergamino nella lettera dedicatoria del suo Memoriale pur disse: Non dovevano queste mie fatiche essere da me offerte ad altri, che a V. E. ec. E sempre anderà regolatamente detto ne' casi obliqui del maggior numero, purchè vi sia la compagnia dell'articolo, segno del suo caso, siccome anche ne avvertì il citato Pergamino. Onde stimo aver chiarito, che non errasse il nostro poeta, usando altri nel numero del più in caso obliquo, contro la regola del censore, che volle in ciò mostrarsi seguace del Bembo.

(1) Casa, Rime. (2) Varchi, Rime.

OPPOSIZIONE XIX.

(St. 93.) « Inforsa ogni suo stato, e di lor gioco »

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Abbiamo per buona osservazione, che quando il ragionamento ha relazione ad una sola persona, il suo relativo debba assere suo, sua, ec; e quando a più persone si riferisce, relativamente abbia a dirsi loro; come per esempio: L'uccello fugge il suo nido: Gli uccelli fuggono il loro nido. Quindi fu ripreso il Castelvetro dal Muzio nelle Battaglie, ch'egli cio osservato non avesse, avendo detto: Scrittori, che pubblicano i suoi poemi. E ne riprese parimente il Ruscelli, il quale usò così malamente il relativo. Sicchè, essendosi detto in questo luogo dal Tasso suo stato, che si riferiva agli amanti che di sopra avea nominati, di numero plurale, dicendo:

Ver gli amanti il piè drizza, e le parale; riprendevolmente fu detto, dir si dovendo loro stato.

RISPOSTA

La sposizion di questo luogo, a mio giudizio, non va come il censore s' immagina, e come altri ancora vanamente si persuasero: ed acciocchè resti ben bilanciato, anderò, per chiarezza della cosa, facendo l'anatomia a questo luogo del Tasso. Diss'egli: Fra sì contrarie tempre in ghiaccio e in foco, In riso e in pianto, e fra paura e spene Inforsa ogni suo stato, e di lor gioco L'ingannatrice donna a prender viene. Cioè Armida, ingannatrice donna, ponea in forse il suo proprio stato, riferendosi il relativo suo ad Armida, terza persona singolare. Ed acciocchè più chiaramente possa dimostrare il mio parere, non mi renda spiacevole col ripetere quanto da Goffredo a lei fu detto, escludendola da' guerrieri ch'ella già dimandava:

Se in servigio di Dio, ch'a ciò n'elesse,

Non s'impiegasser qui le nostre spade,
Ben tua speme fondar potresti in esse,
E soccorso trovar, non che pietade.
Ma se queste sue gregge, e queste oppresse
Mura non torniam prima in libertade,
Giusto non è, con iscemar le genti,

Che di nostra vittoria il corso allenti.

Pur Armida, allettando poscia molti cavalieri dell'esercito Cristiano colle sue arti:

Ma mentre dolce parla, e dolce ride,
E di doppia dolcezza inebria i sensi,
Quasi dal petto lor l'alma divide,

Non prima usata a que' diletți immensi;

prese qualche speranza d' ottener il suo intento; onde dicesi assai bene, che ponesse in forse ogni suo

stato.

E perchè or con dolce parlare e dolce riso allettava que' guerrieri, come si disse; ed ora colla mestizia del volto e con pupille lagrimevoli invitava i loro occhi parimente al pianto, come si soggiugne:

Stassi talvolta ella in disparte alquanto, E'l volto e gli atti suoi compone e finge, Quasi dogliosa; e in fin su gli occhi il pianto Tragge sovente, e poi dentro il respinge: E con quest' arti a lagrimare intanto Seco mill' alme semplicette astringe; ben dir doveasi dal poeta:

....e e di lor gioco

L'ingannatrice donna a prender viene;

dicendo loro, perchè si riferiva agli amanti, o pure a quelle parole mill' alme, di plural numero, di cui Armida si prendea gioco, facendo loro mutar l'affetto secondo le mutazioni del suo sembiante. Ma affinchè in modo alcuno non possa esser ripreso il Tasso in questo luogo, potendo anch'essere che l'opinione mia andasse errata intorno al sentimento di questa esposizione, farò conoscere chiaramente che di taccia non sia degno il poeta, se suo in vece di loro ha usato. Nè gli scrittori, dal Muzio oppuguati, biasimo alcuno per ciò aver debbono; posciac

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