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to tocca all'Odissea, contraddicono primieramente ad Aristotile, il quale proponendoci il vero e spiegato argomento di questo poema, disse insomma che l'Odissea era un lungo sermone intorno a certo peregrino, il quale andò errando molti anni, e che pur finalmente, dopo esser rimasto solo ed agitato da fiere tempeste, si ridusse alla patria, ed uccise i nemici, da' quali i proprj beni gli venivano consumati. Laonde, se proprio argomento dell' Odissea fosse solamente la peregrinazione o viaggio di Ulisse da Calisso ad Itaca, non direbbe che Ulisse peregrinò molti anni; posciachè da Calisso ad Itaca si ridusse in meno di venti giorni. E pertanto è necessario di confessare, che intenda i viaggi tutti da Troja ad Itaca, e non quelle due ultime particelle. Il che tanto più resta chiaro per le parole di Aristotile, quanto che dopo aver detto che questo era l'argomento dell'Odissea acciocchè niuno prendesse l'argomento in quanto è misto anco d'episodi, soggiunge tosto : τὸ μὲν ἐν ἵδον, τοῦτο. τὰ δὲ ἄλλα ἐπεισόδια: Tutto questo è proprio dell' Odissea, l'altre cose son episodj; mostrando perciò, che i viaggi tutti siano proprj dell'azione o favola. Di più questi tali si dipartono apertamente da Omero, il quale nella proposizione invita la Musa a cantar quell'uomo, che tanto andò errando. Sciocca proposizione, se intendeva altri errori che quelli da Calisso ad Itaca; e se i viaggi da Troja in Tracia, Affrica, Sicilia, ed in tanti e tanti altri luoghi, quanti si son da noi spiegati avanti, non appartengono all' argomento ed azione. E per l'istessa ragione non occorreva, che Omero lo chiamasse TоAÚтроov, aggiungendo che aveva veduto i costumi di molte genti e molte città; posciachè nella navigazione da Ogigia ad Itaca solo l'antro e lito di Calisso, e Corfù poi, aveva veduto. Dovecchè all'incontro per occasione di tanti altri viaggi ben vide, o almeno potè veder quasi innumerabili paesi e nazioni, e grandissima varietà di costumi. Così anco fuor di proposito fora il dire, che questo peregrino usò ogni studio per salvar sè ed i compagni

insieme; ma che questi per la lor colpa, per aver, dico, divorati i buoi del Sole, perirono; perchè đạ Calisso ad Itaca non ebbe cotai compagni, ma ben nell'altre predette navigazioni, nelle quali li venner meno. Che più? l'istesso Omero va dicendo così chiaro nella proposizione, che gli errori di quest'uomo cominciarono nel partir da Troja, e quando ebbe predato Ilio, che il voler che solo il viaggio da Calisso ad Itaca sia l'argomento, e non la navigazion tutta, è un far la proposizione falsa, e l'istesso Omero del tutto trascurato e mendace. Sicchè, per accordare Omero con Aristotile nel proposto dubbio, opinione più intollerabile e strana non poteva inventarsi. Nè io mi sarei trattenuto in riferirla ed oppugnarla, se non avessi veduto che pur molti autori e di non poco grido (tanta fu la brama, che ebbero di sottoporre ogni cosa a' precetti di Aristotile) l'abbracciano e difendono. E l'istesso errore hanno preso in Virgilio, mentre vogliono che questi ancora, per quanto tocca alle navigazioni, prenda per proprio argomento dell'azione gli errori o viaggi di Enea da Sicilia, donde appunto fa principio, fino a giungere al Lazio; e che i viaggi da Troja fino in Sicilia siano episodj: opinione, la quale si getta a terra si per la similitudine dell' Odissea (giacchè gli errori di Enea sono ritratto degli erro. ri di Ulisse), come anco per la proposizione dell'istessa Eneide, dove Virgilio si propone a cantare un uomo, il quale errò da Troja fino al Lazio, e non da Sicilia solamente. E perciò anco disse, che andò molto errando, e fu sbattuto molto dalle tempeste. Insomma quasi gli stessi argomenti, co' quali si è tanto evidentemente riprovata la costoro opinione circa l'Odissea, e' proporzionatamente vagliono per riprovarla circa l'Eneide. La terza ed ultima cosa, che è principale, con cui anco mi giova chiudere questo ragionamento, è, che essendo ordinariamente e di propria natura la disposizione e l'ordin naturale accomodato e proprio del poema; Torquato, il quale ha senza dubbio abbracciato e seguito l'ordine na

turale, abbia anco ottimamente conservata l'integrità e perfezion della favola. E pertanto per fuggire, ch'egli insomma di ragione non debba per tale integrità e perfezion di favola anteporsi a Virgilio, e molto più ad Omero, come da noi si è chiaramente mostrato, rea scusa fia il dire, che non abbia usato ordine conveniente al poeta.

Ed ecco, Signori, che avendo noi paragonato questi tre splendidissimi lumi di poesia intorno alla perfezione ed integrità della favola; e mostrato, quanto in questa parte renda più vaga e bella luce il nostro gran Torquato, mi converrebbe entrare nell'istessa tenzone intorno alla grandezza dell'istessa favola; poichè insomma per l'amistà, la quale hanno insieme la perfezione e grandezza, ebbi per bene di propormi a ragionar dell'una e l'altra. Ma mi veggo tanto avanti del giorno, che mi diffido affatto di potermi di ciò spedire in questo stesso ragionamento. Tanto più, che qualora io volessi andar divisando e spiegatamente mostrando quel tanto, che in ciò fora bisogno, temo che altri peravventura potrebbe di me dolersi; quasichè avendo io, già tempo, promesso d'incamminarmi al fine, ora il mio discorso riuscisse più lungo dell' Iliade d' Omero, o pur anco dell'Odissea, giacchè nè anco questa in lunghezza cede di molto all'Iliade. E se pur col darmi fretta, e restringer le cose in breve, cercassi di tostamente spedirmi, altri poi all'incontro potrebbe agevolmente oppormi, che io avessi voluto a guisa di Virgilio restringere un gran gigante in angusto e picciol cerchio: chè tanto hanno stimato alcuni di questo nobil poeta, mentre nella sua Eneide cerca di restringere la vasta mole dell' Iliade e Odissea insieme. Dunque desiderando io d'imitare in questa parte il nostro Tasso, il quale abbracciando minor mole di cose che Virgilio, ed usando minor copia ed ampiezza di parole che Omero, schifò accortamente gli estremi; ardirò, Signori, con vostra grazia, e confidato nella rara gentilezza vostra, di rimettere alla nuova adunanza quanto mi resta. Ho detto.

DELL' ACCADEMICO ASSETATO

PER QUAL ÇAGIONE SI RICERCHI AMPIEZZA O grandezzA NELL' EROICO POEMA E QUALE E QUANTA DEBBA ESSER QUESTA GRANDEZZA: B CHE IN CIÒ ANCORA IL

TASSO SI SIA ACCOSTATO AL SEGNO MOLTO PIU DI OMERO, E MEGLIO DI VIRGILIO.

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Niuno stimi, che nel passato discorso, mentre andai paragonando Virgilio ad uomo, il quale si sforzi di restringere in picciol cerchio mostruoso gigante, io mirassi a conchiudere e stabilire per cosa certa, che l'Iliade ed Odissea d' Omero ecceda di gran lunga la debita grandezza dell'eroico poema, ed all'incontro l' Eneide di Virgilio non vi giunga a gran pezzo. Perciocchè, sebben io veramente coll'immagine del gigante rinchiuso in picciol giro intesi l'Iliade ed Odissea d' Omero ristretta nell' Eneide di Virgilio; tuttavia ciò feci, non tanto per quindi apportar pregiudizio a Virgilio ed Omero, quasichè nel formar il corpo e grandezza de❜lor poemi, fossero incorsi in questi estremi, quanto per valermi a mio proposito di questo nobile e divulgato esempio o immagine, vera o falsa che ella si fosse. Posciachè, qualora in tante angustie di tempo mi fossi posto a paragonar questi tre gran poeti intorno alla grandezza della loro favola ed azione, sarei senza dubbio incorso in alcuno di que' scogli ed estremi, ne' quali giudicano alcuni (se a torto o ragione si vedrà poi) esser incorso Virgilio ed Omero. E se pur alfine accennai, che il nostro gran Torquato avesse tra questi due, quasi tra Scilla e Cariddi, navigato felicemente; non perciò voglio o intendo io di aver in ciò stabilita cosa alcuna, nè aver fatto al

cun pregiudizio ad Omero o Virgilio; ma ben darmi ora ad investigar con ogni industria, per qual causa si ricerchi grandezza, o vogliamo dir lunghezza, nell' eroico poema; e sopra tutto quale e quanta grandezza, o lunghezza si ricerchi; con passar poscia a risolvere e mostrare, chi di loro abbia meglio formato e fornito di conveniente grandezza ed ampiezza il suo poema. Ed allora poi fia chiaro, se da alcuni col jeroglifico o similitudine proposta giustamente venga l'Iliade ed Odissea notata di soverchia grandezza, e l' Eneide peravventura stimata alquanto angusta e ristretta.

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E per cominciar dagl' insegnamenti di Aristotile (1); volle questo nobil filosofo e maestro di poesia, che 'I poema, oltre l'ordine e proporzioni delle parti, onde diviene intiero, abbia grandezza. Di che dà anco non lungi bellissima ragione (2); ed è, che la bellez. za consiste non solamente nell'ordine e proporzione delle parti, ma nella grandezza ancora. Il che tutto va confermando coll' esempio del bello animale, anzi di qualsivoglia cosa, la quale abbia titolo d'esser bella: volendo che, per esser tale, non solo abbia la proporzione e l'ordine già detto delle parti, ma la grandezza insieme. Della quale fa questo filosofo tanta stima, che ardisce di affermare e difendere > che nelle picciole cose, tuttochè nel resto di parti ben ordinate e proporzionate, non si possa trovar bellezza. E per questo anco volle, che picciol uomo possa ben per la proporzione e vaghezza delle parti, chiamarsi elegante e garbato, ma non già bello (3). Anzi, se ben si miri, passò anco più avanti (4), volendo che non solamente resti privo di bellezza l'animale (e l'istesso può altri conchiudere dell' altre cose), il qual nel suo genere manchi della dovuta grandezza; come fora il cavallo, il quale tuttochè vago nel resto, e di parti benissimo proporzionate, fosse di picciola statura; ma ancora quando abbia e

(1) Paragr. 34 e altrove, (2) par. 48. (3) IV. Eth. (4) I. Rhet.

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