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numero, per ordinario usasi in que' verbi, i di cui infiniti hanno la terminazione in ire, come languire, morire, uscire, e simili; ed in alcuni tempi del verbo sono, dicendosi sieno, fieno, ec; e nell'una e nell'altra maniera così nel verso, come nella prosa spesso osservato si scorge. Concludo, che non abbia errato il Tasso nella voce uscieno, avendo la scorta di ottimi scrittori: e che non forza di rima, ma o vaghezza di parlare, o uso comune così l'abbia fatto usare, se anche nelle prose più purgate non fu schivato questo cambiamento.

OPPOSIZIONE V..

(Stan. 90.) «Dal magnanimo lor duce Goffrido » .

Non averebbono detto Goffrido i più goffi parlatori de' contadi di Cicilia, essendo voce sconvenevolissima: nè so come possa salvarsi il Tasso, che volle usarla.

RISPOSTA

Troppo arditamente (mi conceda, che io 'l dica) si oppone al Tasso questo nostro censore, sapendosi bene che spesso trovasi negli scrittori la lettera e mutata in i, e si è detto desiderio e disiderio; eguale e iguale, e così altre: come altri dissero sorpriso, intiso, biltate, dicreto, e simili; siccome può osservarsi in Giovanni Villani, in Guido Cavalcanti, e in altri; come anche fu osservato dagli Accademici della Crusca nel lor Vocabolario. Dante disse nella Vita nuova :

....che meco piangìa.

E così vedesi conoscìa, ridìa, vivìa, e altre simili che usarono Dante, Cino, Guido Cavalcanti, e altri poeti de' secoli passati : e pur non parlarono ne' contadi di Cicilia. E quantunque creder vogliamo, che Goffrido venisse detto dal Tasso per gran forza di rima, avendo egli sfuggito, anzichè no, le voci di quel secolo antico, che pajono recare qualche scon

venevolezza; pur ciò colla scorta del Petrarca da lui si fece, il quale disse ne' suoi Trionfi :

Poi venia solo il buon duce Goffrido (1). Oltrechè si può dire che i nomi proprj abbian certa regola diversa dall' altre voci, che accrescendo loro una lettera, o mutandola in altra, non paja

commettere così grave eccesso, che se ne possa bia

simo meritare, come si ha dato a credere il nostre

censore.

OPPOSIZIONE VI.

(St. 94.) « Indi tolto congedo, é da lui ditto « Al suo compagno » ec.

La voce ditto non è inferiore all' altra accennata poco dianzi. Quanto fa la rima! E pur altra volta usò questa voce il Tasso nel canto 17, nella stanza 32, dicendo:

ed ove ditto

Fu pria Clemente, or Emiren s ́appella.

RISPOSTA

Egli è certo, che la necessità delle consonanze fa dire delle gran cose a' poveri poeti: ma io stimo perciò il Tasso assai degno di scusa; perciocchè questi modi di dire furono da' nostri moderni dai più antichi scrittori, e da' più eccellenti ancora, imparati: quindi non solo ditto, per detto; ma ancora respitto, in vece di rispetto mi ricordo aver osservato ne' libri de' buoni autori. Di questa livrea modesima è despitto, che disse Lodovico Ariosto, in cambio di dispetto, nel suo Furioso:

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Di timor, di cordoglio e di despitto (2); rimando con scritto, e con diritto. E veramente par che vengano molte volte da' nostri moderni richiamate quelle voci, il di cui uso fu prima lasciato al

(1) Petrarca, Trionfo della Fama (2) Ariosto, Fur. can. .30, stan. 79.

l'antichità, siccome venne esplicato vagamente da, Orazio nella Pistola a' Pisoni:

Multa renascentur, quæ jam cecidere, cadentque Quæ nunc sunt in honore vocabula, si volet usus, Quem penes arbitrium est, et jus, et norma loquendi . E Lionardo Salviati ci avvertisce a non in tutto bandire simili voci: Non per questo ne seguirebbe, che le non così vaghe si dovessero scancellare ; ma usarle, quando o le più vaghe ci mancassero, o la materia a vaghezza non ci astringesse, o che per variare fosse ben fatto a riceverle (1). E se Diomede Borghesi dice, non si dover seguitare gli antichi in parole di simil livrea; pur egli afferma esser comportevole, che vengano usate da' compositori di rime nella fine 'del verso; come appunto se ne servi il Tasso. Ecco l'autorità del Borghesi: Non affermo io già, che non sia comportevole, che compositori di volumi di rime usino alcune di queste, o altre simili voci (parla egli dell'antiche) una volta, e solamente nella fine del verso (2). Pur assai più parole di tal fatta si leggono negli scrittori : e tal volta hanno eglino scritto certe voci così barbare e di rozzo suono, che non si direbbono nel più rozzo contado o goffo villaggio d'Italia, le quali potreb bono muovere le risa, se le leggessero, anche agli Eracliti piangenti. Il Petrarca, oracolo (per così dire) della nostra lingua, anche molte ne scrisse nelle sue rime. Usò egli ne' Trionfi sinestra in vece di sinistra, dicendo:

E'l ferro ignudo tien nella sinestra (3). Così parimente Deo per Dio:

Colui ch'è fatto Deo (4);

voce, che forse egli riportò da' più antichi rimatori italiani, da' quali soleasi parimente dire meo, eo, reo, e simili, per mio, io, e rio: il che può chiaramente vedersi in un libro stampato in Roma dagli Accademici della Fucina, in cui sono raccolte le

(1) Salv. Avver. ling. lib. II, c. 12, vol. 2. (2) Borgh. leit. p. 1. (3) Petrar. Trionfo d'Amore, c. 2. (4) e cap. 4.

rime de' poeti di quel primo secolo della favella italiana (1). Ma senza partirci dal Petrarca, dissesi altresì da lui Tibro, in vece di Tebro:

Fra l'altre la Vestal vergine pia,

Che baldanzosamente corse al Tibro (2).

E così como per come:

Quattro cavai con quanto studio como (3). Quindi poi in tali, o simili voci fu seguito da' più moderni, negli scritti de'quali in tanta copia se ne osservano, che si rendono nauseanti. Poichè non fu mai stimato bene l'usar voci così sconce, ed per in particolare da alcuni moderni rimatori, che cacciando fuori una mano di sonettucci rappezzati, e di canzoni mal conce, credono di gareggiare (se non si pensano averlo superato) col Petrarca, o se pur altro non ve n'è migliore. E siccome è comportevole uel Petrarca e in altri eccellenti poeti l'uso di taluna di queste voci; così non sarà conceduto ad uno de' poetastri che corrono in questa età, i quali ad uso delle sanguisughe vanno ricercando sempre il peggiore ne valent' uommi per imitarli; e dicono: Ciò si è fatto ad imitazione del Boccaccio, dell' Ariosto, ec. Che perciò si disse dal Borghesi nell'autorità di sopra allegata: Non affermo io già, che non sia comportevole, che compositori di volumi di rime usino queste voci ec., intendendo egli del Petrarca; confermando appresso assai bene questa opinione, con dire: Perchè qual persona giudiziosa può senza risa leggere, o ascoltar le composizioni di que' moderni, i quali come le ventose de medici tirano a sé il peggior sangue, così. nell'imitare questo nobil poeta fanno elezione delle sue men pure, e men graziose, e men vaghe parole ec. (4) Pure non può questa autorità abbattere il Tasso, perchè, oltre ch'egli compose un poema lunghissimo, si stima parimente uno de' più eccellenti pocti ch'abbia avuto la nostra lingua; nè è da

(1) Raccol. de' Poet. antich. (2) Petrar. Trionf. della Castità. (3) Trionf. del Tempo. (4) Borgh. loc. cit.

stimarsi della condizione di coloro che intender volle il Borghesi, perciocchè egli stesso avea gran conto di lui, siccome scrisse in una delle sue lettere: Senza dubbio io tengo il Tasso per solenne litterato, e per gran poeta (1). E, per conchiudere, scusabile egli mi pare, se ad imitazione degli ottimi scrittori, come egli parimente, taluno di questi vocaboli in un si lungo poema abbia usati.

OPPOSIZIONE VII.

(G. 3. St. 9.)« Dalla cittade intanto un ch'alla guarda « Sta d'alta torre » ec.

La voce guarda in questo luogo è un notabile equivoco; perciocchè così anche si dice nell'imperativo del verbo guardare. Lascio poi di notare la sua sconvenevolezza, potendola da se conoscere ogni leggente, non essendo stata usata da altri buoni scrittori prima del Tasso..

RISPOSTA

Io non ritrovo l'equivoco; perciocchè, sebbene la voce è dell'istesso suono dell'imperativo del verbo guardare, il senso è quello che toglie l'equivocazione della voce. Non mancano nella nostra lingua parole, che danno l'esistenza a cose diverse; ad ogni modo la forma del parlar le distingue. Le voci serva e servi sono comuni così al verbo, come al nome; ad ogni modo, trovandosi nelle composizioni, il modo del parlare le distingue, e ci dà a conoscere la loro forza: e così di molte altre, delle quali non è in tutto priva la lingua greca e la latina. Ed in quanto a quel che si dice, che rassembri sconvenevole il dir guarda, in vece di guardia; rispondo che sia uso della nostra lingua, che alcune voci, le quali richieggono l'i innanzi all' ultima lettera, senza di quell'i parimente scriver si-possa

(1) Lett. p. 3.

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