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così e la memoria e l'ingegno e la lingua prenderanno ardire di spiegare i pregj e le virtù rare del tuo caro germe e poeta. Credo che vi sovvenga, Signori, anzi vi resti vivamente impressa nella mente la bella idea rappresentatavi da Torquato, di un sublime eroe, e perfetto capitano e guerriero; e come Goffredo sia stato non senza molta ragione anteposto ad Enea, e molto più ad Ulisse ed Achille. Credo parimente, che mentre poi si è passato a far più stretto paragone di questo sovran poeta col grande Omero e Virgilio intorno alle parti dell'eroica poesia, ben vi rammenti che nell'invenzione, o elezione della materia, Torquato si sia scoperto molto più giudizioso ed accorto, ed insomma superiore e vittorioso, con aver appresso conservato l'unità della favola molto meglio di alcuno degli altri.

Ora fa di mestiero, che io vada paragonando gli stessi circa l'integrità e perfezione della favola, e indi intorno la grandezza pur dell'istessa; con risolver poi, dopo diligente paragone ed esame, chi di loro, in così principali ed importanti condizioni, dell'eroica azione si scopra artefice più eccellente.. " E che la favola debba essere intera e perfetta, ce ne fa ampia fede Aristotile in molti luoghi (1): con aggiungere appresso, che allora è intiera ovver perfetta, quando ha principio, mezzo e fine. E sebbene potrebbe ciò portar dubbio ad alcuno, al quale sovvenisse che Dio è perfetto, e nondimeno (sanamente parlando dell'unità di tutta la divina essenza e natura) è senza principio, mezzo e fine alcuno e che di più i celesti giri, anzi i circoli e le sfere tutte, siansi o di natura o d'arte, sembrano pur senza principio, mezzo e fiue; tuttavia (per non entrare in disputa senza necessità) basti, che appresso Aristotile, il qual volle che la tragedia, com'anco l'epopeja, sia imitazione pάews ans, o pure reλelas di azion tutta, ovvero perfetta; l'esser tutto, ovvero perfetto, per ora ricerca termine e finità,

(1) Paragr. 34, 47 e 124.

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per così dire. Laonde chiama tutto o perfetto quello, che ha i suoi termini e fini, siccome perappunto aveva fatto Platone, che quando nel Parmenide disse ὅλον, tutto dico, era quello ὅ τὴν ἀρχὴν ἄν ἔχει, και μέσον, και τελευτην. che ha principio, mez zo e fine (1); accennando pur anch' egli, che questo Téλa o perfetto nasca dall'aver Tλos o fine: siccome pur d'Aristotile l'istesso affermò Simplicio, ed avanti accennò Alessandro. Di maniera tale che tutto o perfetto per ora si oppone a quello, che non è rinchiuso da' termini; che in questo proposito è manchevole ed imperfetto, come sarebbe una linea o superficie, la qual procedesse in infinito: o pure all'incontro una statua, a cui testa mancasse piedi, la quale come statua senza dubbio sarebbe imperfetta. Giacchè dunque Dio non con tal sentimento di termini e confini si dice o può dir perfetto, essendo e di sostanza (con pace di molti Peripatetici) e di virtù infinito; ma per iperbole ed eccesso, come va accennando Aristotile (2), che vuol dire per superare ogni altra cosa in perfezione, anzi (come meglio dichiara la cristiana filosofia) per esser oceano immenso di essenza, perfezione e virtù ; resta che Dio, tuttochè ei sia senza principio e fine, debba dirsi perfetto. Più difficile è quello che appartiene alla figura sferica e circolare, la quale da Aristotile ancora vien riputata perfettissima; e nondimeno le dà per proprio tralle figure, che non abbia principio, nè vi si ritrovi mezzo o fine. Nel che potrebbe alcuno, per sciorre il dubbio, attenersi a coloro, i quali all'incontro vogliono che tal figura non solamente non manchi di principio, mezzo e fine; ma ch' abbia in ogni parte, anzi in ogni punto, e principio e mezzo e fine: che di più reiterandosi, o trascorrendosi in giro più volte l'istesse parti, più volte ancora si torni all'istesso principio, mezzo e fine. Potrebbe in oltre seguire alcuni altri, i quali vogliono che in tal figura il centro sia il

(1) Coel. cap. II. (2) V. Metaph. cap. de Perfect.

Controv. T. IV.

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nè mezzo,

principio, e la circonferenza il fine; chè appunto il principe degli Accademici, per non dire de filosofi, Platone così va dicendo, mentre di sferica figura adorna il mondo (1). Finalmente potrebbe ancora richiamarsi all'istesso Aristotile, il quale in tanti e tanti luoghi afferma, che perfetto è quello a cui non si può aggiungere cosa alcuna; la qual definizione pare senza dubbio alla precedente molto contraria. Tanto più che ragionando egli del circolo, indi prova che sia perfetto, perchè nè la linea finita può dirsi perfetta, potendo ricevere accrescimento; nè meno l'infinita, maucandole il termine e fine. Insomma l'istesso Aristotile, il quale fa che l'azione o favola sia una, allorch'è intera e perfetta (che vuol dire per aver principio, mezzo e fine), nella sua divina filosofia vuol che la linea circolare sia una, per es ser tutta e perfetta (2). E pur se non ha principio, nè fine, come tante volte va dicendo, dovrebbe argomentare e conchiudere, che sia imperfetta. Per queste cause adunque, come anco perchè questo termine di perfetto appresso Aristotile ha molti e molto varj significati, voglio io che mi sia lecito spedirmi di questo dubbio, con dire, che quantunque la proposta definizione-Tutto, ovver perfetto è quello, che ha principio, mezzo e fine, possa aver le sue eccezioni; siccome pur d'avvantaggio ne ha qualunque altra definizione o descrizione, che di più ce n'abbia dato Aristotile. Nondimeno nel nostro proposito è vera e chiara, sapendosi che le azioni umane o eroiche, propria materia dell'epopeja, necessariamente hanno principio, nascendo dal concorso del consiglio ed elezione umana; e che per grandi che fossero, non possono in effetto essere infinite, cioè immense e senza termine alcuno: sicchè, non potendo essere infinite, convien che per esser tutte e perfette, abbiano principio, mezzo e fine. E pertanto, se il poeta nell'imitar tal'azione esprimerà e

(1) Plat, nel Tim, (2) Lib. V, tex. 12, ovvero cap.de Perfect.

;.

principio e mezzo e fine, farà senza dubbio favola perfetta, perchè averà tutto ciò che nel suo genere può avere: chè appunto l'istesso Aristotile disse ancora, che allora una cosa era perfetta, quando aveva quello che nella sua specie le conveniva (1). E l'istesso dico, qualora il poeta, per meglio conseguir il suo fine (di che si dirà più oltre), mutasse in qualche parte l'azione; ma però in modo, che avesse tuttavia e principio e mezzo e fine conveniente, e conforme all' aristotelico precetto.

ne,

Ma lasciando omai tutto ciò, ricerchiam piuttosto che cosa intenda Aristotile per principio, mezzo e fine dell'azione, o favola; perciocchè, se si ragionasse di un animale, com'è l'uomo, il cavallo, il leonon fora difficile riconoscerne il principio, il mezzo e il fine; poichè chi è che non sappia, il capo nell' uomo esser principio, l'altre parti estreme il fine, e le parti tra'l principio e fine trapposte esser il mezzo? Ma nelle azioni umane passa altrimenti; poichè queste, come quelle che per se stesse non son corporee, nè si fanno oggetto dell'occhio, come l'animale e cose tali, possono in ciò recar seco gran dubbio. Tanto più che l'azion eroica, di cui è imitatore il poeta, è composta di tanta e tal moltitudine e varietà di parti, e di più è involta e distinta con tanti episodj, i quali son' anco per se stessi difficili a riconoscere e distinguere dalle parti proprie dell'azione, o favola; che il voler discerner per appunto il principio, mezzo e fine, non pare se non malagevole. Ma siasi, che il tutto si potesse discernere e riconoscere ; tuttavia ei non par vero, o pur necessario, che l'azione si rappresenti col suo prin cipio, mezzo e fine, acciocchè la favola ne divenga perfetta; perciocchè noi sappiamo, che la guerra trojana ebbe il suo principio, il suo mezzo, ed il suo fine: e nondimeno altri, nel farne eroico poema, la prese a cantar tutta: altri, come Omero, una particella, che fu l'ira d'Achille: e altri (come Dion

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(1) V. Metaph., cap. de Perfect.

Crisostomo 1) bramo, che al poema nel fine fosse stata aggiunta l' espugnazion di Troja: quando pure, come Omero altrove scrive, alla morte di Ettore cotal' espugnazione fosse veramente seguìta. E Quinto Calabro, quasi che l'istesso fine fosse manchevole, non ha dubitato di aggiungerli molte cose, con darli fine molto diverso (2). Così parimente Omero, della navigazione e azion d'Ulisse fece principio il mezzo; e il mezzo, principio: siccome anco per appunto fece Virgilio della navigazion d'Enea. Anzichè quando l'ultima azione, o l'onorata morte con cui e Ulisse per testimonio di Omero, ed Enea per testimonio di Virgilio, chiuse la vita, si potesse o dovesse porre per fine delle costoro azioni e favole,il fine anco sarebbe stato trasportato; poichè non nel fine, ma avanti molt' altre azioni vien accennato, che questi colmi d'anui e di merti dovean felicemente chiuder la vita. Oltrachè Maffeo Vegio, poeta non infelice, o da sprezzare, all' Eneide ( quasi che altro fine se le dovesse ) non ha dubitato di aggiungere un libro intero (3). Insomma la libertà de' poeti è tanta e tale, che qualor anco in una eroica azione si andasse scorgendo qual sia il vero principio, quale il mezzo, e quale il fine, par ch'ei sia in potestà del poeta trasportar le parti, con far principio da quello che è mezzo, e all'incontro por nel mezzo quello ch'è principio, ed il fine anco peravventura levarlo dal natural suo luogo. E qui forse miro Orazio, quando scrisse: sic veris falsa remiscet,

Primo ne medium, medio ne discrepet imum. Questi sono i dubbj, i quali mi occorrevano intorno la dottrina di Aristotile, mentre vuole che l'eroica azione e favola sia intera e perfetta. Ora cercherò di spedirmene quanto prima mi fia possibile; e tosto, se avvenga che ci resti sicuro e chiaro questo aristotelico precetto; passerò a paragonar Torquato con Omero e Virgilio intorno a cotale integrità, o perfezion della favola.

(1) Orat. XI. (2) Odiss. IV, e altrove. (3) Odiss. XI. Eneid. VI, et XII.

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