142 BILANCIA CRITICA DI MARIO ZITO ch'altri indegnamente gli ha data. Sappiamo niente di manco assai bene, che piuttosto tenebre abbiam recate a quel miracoloso lavoro della sua Gerusalemme, che lumi con queste nostre fatiche; perciocchè lume non possono compartire le tenebre. Ad ogni modo abbiamo difeso contro un vivo un morto, che non può difendersi. E quantunque non possiamo negare, che il genio ci tiri a venerare gl'inchiostri di quella grande anima; pure in queste tenui risposte, posponendo alla verità l'affetto, abbiam detto quel che non la parzialità, ma l'ingenuità ci ha dimostrato: sottoponendoci sempre alla correzione d'ognuno, avendo noi desiderio d'imparare, per rischiarare la nostra ignoranza, che nelle tenebre ci trattiene. Nota. Moltissimi sono i passi da noi corretti di Autori citati in questo scritto, e moltissime sono altresì lc citazioni da noi rettificate; ma di parecchi altri luoghi non abbiam potuto fare riscontro colle opere rispettive, essendosi trovato non corrispondere i richiami delle medesime; e in tanto numero di autori e di citazioni non ci è dato di assicurare se qualche errore non resti tuttora da emendarsi. E ciò si vuole da noi avvertire ad ogni buon fine, dopo che con nostra sorpresa vedemmo nelľ edizioni di Firenze e Venezia essersi copiata materialmente quella di Napoli, 1685, senza neppure farsi carico dell'Errata Corrige non breve, che sta in principio a quella prima stampa. L' Edit. IL FINE 1 COMPARAZIONE DI OMERO, VIRGILIO E TORQUATO; ED A CHI DI loro si DEBBA LA PALMA NELL'EROICO POEMA DEL QUALE SI VANNO ANCO RICONOSCEN DO I PRECETTI; CON DAR LARGO CONTO DE POETI EROICI TANTO GRECI, QUANTO LATINI ED ITALIANI, ED IN PARTICOLARE si fa giudizio dell' ARIOSTO: DI PAOLO BENI Controv. T. IV. 10 DELL' ACCADEMICO NOMISTA CHE TORQUATO TASSO NEL SUO Goffredo abbIA RAPPRESENTATO MOLTO PIU' NOBIle e perfettA IDEA DI VALOROSO CAPITANO ED EROE, CHE OMERO O VIRGILIO. so al I. non saprei ridire, uditori generosissimi, il contento e dolcezza che provai nel mio cuore, allorchè ancor fanciullo posi il pargoletto piede ne' fortunati e cari liti d'Italia; con far mio albergo prima in quella città, la quale non lungi siede felicissima reina d'Adria; ed indi poscia in questa nuova e famosa Atene. E sebbene non mai porrò in oblio il mio greco terreno, e'l mio caro e natio paese, famopresente per mille doni di natura, 'non meno che negli antichi tempi fosse anco per cento città illustre e chiaro; nondimeno con cente e mille catene d'amore ho sentito e sento annodarui il cuore in questo felice seno, che tra gli euganei colli ed il mar d'Adria giace ristretto. Chè certo il temperamento del cielo e la dolcezza dell'aria, la piacevolezza de' colli e fertilità de' campi, la varietà dell'arti e l'industria maravigliosa, la nobiltà rara ed illustre, la gentilezza, cortesia e bellezza delle genti, e so. prattutto la virtù, la dottrina e l'ingegno, che a maraviglia splende e riluce in queste parti, sono per me indissolubili catene e lacci di benevolenza e d'amore. Contuttociò, s'io debbo confessarne il vero, una cosa è quella che sopra tutte mi riempie quasi d'infinita dolcezza in queste parti, e mi fa benedire il giorno, nel quale mi esposi a solear mari così perigliosi e lunghi. Ma qual cosa fia questa? dirà aleuno. La gentilezza, signori, e felicità degl'italiani poeti i quali nel vero così dolci e soavi sembrano al mio gusto, così vaghi e leggiadri, ed insomma così pieni d'ogni grazia e bellezza, che mentre con questi passo l'ore ed i giorni, parmi in certa maniera di poter dire col Toscano poeta lirico: Che ambrosia o nettar non invidio a Giove. Vero è, Signori Accademici, che uno tra gli altri quegli, il quale suol riempire il mio petto di meraviglia e stupore, non meno che (com'ho detto) di soavità e dolcezza: parlo di colui che piuttosto con divino, che umano stile cantò ... l'armi pietose, e'l capitano Che 'l gran Sepolcro liberò di Cristo. Chè a dirne il vero, non può leggersi questo leggiadro e nobil poeta, che non si riconosca in lui, oltre a tutti gli ornamenti e le bellezze di Omero e Virgilio, un'ampiezza e maestà di concetti, una grandezza e nobiltà di stile, una felicità e soavità di ragionare, la qual sormonta ogni credenza ed ingegno umano; e questo è quello sopra che son'io per discorrer brevemente tutt' ora: paragonando, per quello che l'angustie del tempo permetteranno, questi sovrani poeti, anzi occhi, anzi splendidissimi lumi e stelle della greca, latina ed italiana favella: sperando che la nobiltà e splendore del soggetto sia per dar lume tale alla bassezza e alle tenebre del mio povero ingegno, che appresso si benigni uditori agevolmente io resti dispensato, se col mio debole e mal purgato stile tropp' alto ardissi. Non è dubbio alcuno, che Omero nell'Iliade si propose di rappresentarci un forte e valoroso capipitano ed eroe: siccome anco è certissimo, che nell'Odissea si propose di esprimere un cavaliero ed eroe di singolar accortezza e sapere, il quale anco fosse a' gran principi e capitani ritratto di prudenza e virtù: e pertanto, se Achille è quegli che tra i greci guerrieri si scuopre il più valoroso e forte, Ulisse il più saggio e prudente; giusta cosa dovrà parere, che l'Iliade di Omero, ove si cantano gli egregj fatti di Achille, sia esempio e idea a' supremi ed |