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Petrarca.

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Petrarca..

S. B. 1. S. 246. II. 70. Die petrarchischen Oden (Canzoni) stehen hier freilich etwas uneigentlich unter den philosophischen; denn sie machen eine besondre Klasse für sich aus. Ihr Stof ist lauter fanftes, liebevolles Gefühl; und ihr Ausdruck hat eine gewisse schwermüthige Schwärmerei, die sich von der lyrischen Unordnung der höhern Ode eben so fehr, als von dem leichtern und regelmäßigern Gange des Liedes unterscheidet. Petrarch fand eine Menge von Nachahmern in dieser Gattung, den Sannazaro, Triffino, Bembo, Bern. Tasso, Molza, Caro, Menzini, u. a. m. Aber keiner von allen erreichte ganz die unnachahmliche Anmuth seiner Oden, die, wie Hr. Meinhard sagt, voll von den lieblichsten, den zärtlichken Bildern, von einer liebenswürdigen Berauschung des Affekts, und in einer Sprache gez schrieben find, welche der Gott der Liebe selbft aus seinem Munde dem Dichter diktirt zu haben scheint. Die schöne elegische Ode von Hrn. Prof. Schmitt in Liegniß, worin er die herrlichsten Blumen aus den petrarchischen Oden in Einen Kranz flocht, bat man schon oben unter den Elegieen ges lesen.

CANZONE. I.

Chiare, frefche, e dolci acque,

Ove le belle membra

Pole colei, che fola a me par donna;

Gentil ramo, ove piacque

(Con folpir mi rimembra)

A lei di fare al bel fianco colonna;

Erba e fior, che la gonna

Leggiadra ricoverie

Con l'angelico feno;

Aer facro fereno,

Ov' Amor co' begli occhi il cor m'aperfe;

Date udienza infieme

Alle dolenti mie parole eftreme.

Na 2

S'egli

Petrarca. S'egli è pur mio deftino,
E'l cielo in ciò l'adopra

Ch' Amor queft' occhi lagrimando chiuda;
Qualche grazia il meschino

Corpo fra voi ricopra ;

E torni l'alma al proprio albergo ignuda.
La morte fia men cruda,

Se quefta fpeme porto

A quel dubbiofo paffo:
Che lo fpirito laffo

Non poria mai in più ripofato porto,
Ne'n più tranquilla foffa

Fuggir la carne travagliata e l'offa.

Tempo verrà ancor forse,

Ch' all' ufato foggiorno

Torni la fera bella e manfueta;
E là, 'v' ella mi scorse
Nel benedetto giorno,
Volga la vifta defiofa e lieta,
Cercandomi: ed, o pieta!
Già terra infra le pietre
Vedendo, Amor l'infpiri
In guifa, che fofpiri

Si dolcemente, che mercè m'impetre,
E faccia forza al cielo,

Afciugandofi gli occhi col bel velo.

Da' be' rami fcendea,

Dolce nella memoria,

Una pioggia di fior fovra il fuo grembo;

Ed ella fi fedea

Umile in tanta gloria,

Coverta già dell' amorofo nembo:

Qual fior cadea ful lembo,

Qual fu le trecce bionde;

Ch' oro forbito e perle

Eran quel dì a vederle:

Qual fi pofava in terra, e qual fu l'onde:

Qual con un vago errore

Girando parea dir, qui regna Amore.

Quante

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Petrarca.

CANZONE 11
II.

O afpettata in ciel beata e bella

Anima che di noftra umanitade
Veftita vai, non, come l'altre, carca;
Perche ti fian men dure omai le ftrade,
A Dio diletta obbediente ancella

Onde al fuo regno di quaggiu si varca:
Ecco novellamente alla tua barca,
Ch' al cieco mondo ha gia volte le fpallet
Per gir a miglior porto,

D'un vento occidental dolce conforto,
Lo qual per mezzo quefta ofcura valle,
Ove piangiamo il noftro e l'altrui torto,
La condurrà de' lacci antichi fciolta
Per drittiffimo calle

Al verace oriente, ov' ella è volta,
Forfi i devoti e gli amorofi preghi
E le lagrime fante de' mortali
Son giunte innanzi alla pietà fuperna;
E forfe non fur mai tante ne tali
Che per merito lor punto fi pieghi
Fuor di fuo corfo la giustizia eterna;
Ma quel benigno re, che'l ciel governa,
Al facro loco, ove fu pofto in croce,
Gli occhi per grazia gira;

Onde nel petto al nuovo Carlo i fpira
La vendetta, che a noi tardata noce,
Sicche molt anni Europa ne sospira
Cofi foccorre alla fua amata sposa;
Tal che fol della voce

Fa tremar Babilonia, e ftar penfofa.
Chiunque alberga tra Garonna e'l monte,
E tra 'l Rodano e'l Reno e l'onde falfe
Le 'nfegne criftianiffime accompagna;
Ed a cui mai di vero pregio calfe

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Inghilterra con l'Ifole,, che bagna

Petrarca.

L'oceano intra 'I Carro e le Colonne,
Infin là dove fona

Dottrina del fantiffimo Elicona,

Varie di lingue e d'arme e delle gonne,
Al' alta imprefa caritate fprona.
Deh qual amor sì licito o sì degno,
Qua' figli mai quai donne

Furon materia a sì giufto disdegno?
Una parte del mondo è, che fi giace,
Mi fempre in ghiaccio ed in gelate nevi
Tutta lontana dal cammin de fole:
La fotto giorni, nubilofi e brevi
Nemica naturalmente di pace

Nafce una gente, a cui 'l morir non dole.
Questa, se piu divota che non fuole
Col Tedesco furor la fpuda cigne,
Turchi, Arabi e Caldei,

Con tutti quei che speran negli dei
Di qua dal mar che fa l'onde fanguigne,
Quanto fian da prezzar conofcer dei:
Popolo ignudo paventofo e lento,
Che ferro mai non ftrigne,

Ma tutti colpi fuoi commette al vento.
Dunque ora è 'l tempo da ritrarre il collo
Dal giogo antico e da fquarciare il velo,
Ch' è ftato avvolto intorno agli occhi noftri,
E che'l nobile ingegno, che dal cielo
Per grazia tien dell immortale Apollo,
E l'eloquenza fua virtù qui moftri,
Or con la lingua or con laudati inchioftri;
Perche, d'Orfeo leggendo e d'Anfione,
Se non ti meravigli,

Affai men fia, ch' Italia co' fuoi figli
Si defti al fuon del tuo chiaro fermone;
Tanto che per Gefù la lancia pigli;
Che f'al ver mira quefta antica madre,
In nulla fua tenzone

Fur mai cagion sì belle e sì leggiadre.
Tu c'hai per arrichir d'un bel tesauro,
Volte l'antiche e le moderne carte,

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