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Che all'ombra di duo (1) monti è tutta piena
D'antichi abeti e di robusti faggi,

Il sole indarno il chiaro dì vi mena

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Che non vi può mai penetrar co' raggi
Sì gli è la via da' folti rami tronca (2),
E quivi entra sotterra una spelonca.
Sotto la negra selva una capace

E spaziosa grotta entra nel sasso,
Di cui la fronte l' edera seguace
Tutta aggirando va con torto passo.
In questo albergo il grave Sonno giace.
L'Ozio, da un canto, corpulento e grasso,
Dall' altro, la Pigrizia in terra siede,
Che non può andare, e mal si regge in piede..

Lo smemorato Obblio sta sulla porta :
Non lascia entrar, nè riconosce alcuno;
Non ascolta imbasciata, nè riporta,
E parimente tien cacciato ognuno.
Il Silenzio va intorno, e fa la scorta :
Ha le scarpe di feltro, e il mantel bruno;
Ed a quanti ne incontra di lontano,

Che non debban venir, cenna (3) con mano.
LUDOVICO ARIOSTO. Canto 14.

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FELICITÀ DELLA VITA PASTORALE.

Intanto Erminia infra (1) l'ombrose piante
D'antica selva dal cavallo è scorta (2) :
Nè più governa il fren la man tremante;
E mezza quasi par tra viva e morta :
Per tante strade si raggira e tante

Il corridor che in suo balia (5) la porta,
Ch' alfin dagli occhi altrui pur si dilegua (4) ›
Ed è soverchio omai ch'altri la segua.

Fuggi tutta la notte, e tutto il giorno
Errò senza consiglio e senza guida ;
Non udendo, o vedendo altro d'intorno,
Che le lagrime sue che le sue strida :
Ma nell' ora, che 'l Sol dal carro adorno
Scioglie i corsieri, e in grembo al mar s'annida
Giunse del bel Giordano alle chiare acque,
E scese in riva al fiume, e qui si giacque.

Cibo non prende già ; chè de' suoi mali
Solo si pasce, e sol di pianto ha sete;
Ma'l sonno, che de' miseri mortali
È col suo dolce obblio posa, e quïete,

(1) Infra, dentro a. (2) Scorta, guidata.

(5) Balía, potere.

Si dilegua, s'allontana.

Sopì co' sensi i suoi dolori ; e l' ali
Dispiegò sovra lei placide, e chete:
Nè peró cessa Amor con varie forme
La sua pace turbar mentre ella dorme.
Non si destò fin che garrir gli augelli
Non senti lieti, e salutar gli albòri (1);
E mormorare il fiume, e gli arboscelli;
E con l' onda scherzar l' aura, e co' fiori.
Apre i languidi lumi (2), e guarda quelli
Alberghi solitarj de' pastori :

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E parle (3) voce uscir tra l'acqua e i rami,
Ch' ai sospiri, ed al pianto la richiami.

Ma son, mentr' ella piange, i suoi lamenti
Rotti da un chiaro suon, ch' a lei ne viene,
Che sembra, ed è di pastorali accenti
Misto, e di boscareccie inculte avene.
Risorge, e là s' indrizza a passi lenti;
E vede un uom canuto all' ombre amene,
Tesser fiscelle alla sua greggia accanto,
Ed ascoltar di tre fanciulli il canto.

Vedendo quivi comparir repente
L'insolite arme, sbigottir (4) costoro ;

Gli albòri, l' aurora.

(2) Lumi, occhi.

(3) Parle, le pare.

(4) Sbigottir per sbigotti

rono.

Ma gli saluta Erminia, e dolcemente

Gli affida, e gli occhi scopre, e i bei crin (1) d'oro,
Seguite, dice, avventurosa gente

Al ciel diletta, il bel vostro lavoro;

Che non portano già guerra quest' armi
All' opre vostre, ai vostri dolci carmi (2).

Soggiunse poscia: O padre, or che d'intorno
D'alto incendio di guerra arde il paese,
Come qui state in placido soggiorno,
Senza temer le militari offese?

Figlio, ei ripose, d'ogni oltraggio, e scorno,
La mia famiglia, e la mia greggia illese
Sempre qui fur (3); nè strepito di Marte
Ancor turbo questa remota parte.

O sia grazia del Ciel, che l' umiltate
D'innocente pastor salvi, e sublime (4) ;
O che siccome il folgore non cade
In basso pian, ma sull' eccelse cime;
Così il furor di peregrine spade

Sol de' Re l'altere teste opprime :
gran

Nè gli avidi soldati a preda alletta

La nostra povertà vile e negletta.

(1) Bei crini per belli ca

pelli.

(5) Fur per furono.
(4) Sublime per sublimi,

(2) Carmi, voce poetica innalzi. per versi.

Altrui vile, e negletta, a me sì cara,
Che non bramo tesor, nè regal verga (1);
Ne
cura, o voglia ambizïosa avara

Mai nel tranquillo del mio petto alberga.
Spengo la sete mia nell' acqua chiara,
Che non tem'io, che di venen s' asperga :
E questa greggia, e l'orticel dispensa
Cibi non compri alla mia parca mensa.
Che poco è il desiderio, e poco è il nostro
Bisogno, onde la vita si conservi.

Son figli miei questi, ch' addito e mostro,
Custodi della mandra, e non ho servi.
Così men (2) vivo in solitario chiostro (3),
Saltar veggendo i capri snelli, e i cervi,
Ed i pesci guizzar di questo fiume;

E spiegar gli augelletti al Ciel le piume (4).
Tempo già fu, quando più l'uom vaneggia
Nell' età prima, ch' ebbi altro desio;
E disdegnai di pasturar la greggia,

E fuggii dal paese a me natio :

E vissi in Memfi un tempo; e nella reggia
Frai ministri del Re fui posto anch’io :

Verga, scettro. Men per me ne, riempitivo che aggiunge una certa grazia ed espressione

|alla parola vivo.
(3) Chiostro, dimora.
(4) Piume, ali.

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