Pargli che vilipeso egli ne resti,
E che 'n disprezzo suo sprezzin le pene. Credasi, dice, ad ambo; e quella e questi Vinca; e la palma sia qual si conviene. Indi accenna ai sergenti, i quai son presti A legar il garzon di lor catene.
Sono ambo stretti al palo stesso, e volto È il tergo al tergo, e 'l volto ascoso al volto.
Composto è lor d'intorno il rogo omai, E già le fiamme il mantice v'incita; Quando il fanciullo in dolorosi lai Proruppe, e disse a lei, ch'è seco unita: Questo dunque è quel laccio, ond'io sperai Teco accoppiarmi in compagnia di vita? Questo è quel fuoco, ch'io credea che i cori Ne dovesse infiammar d'eguali ardori?
Altre fiamme, altri nodi Amor promise, Altri ce n'apparecchia iniqua sorte. Troppo, ahi! ben troppo, ella già noi divise, Ma duramente or ne congiunge in morte. Piacemi almen, poichè in sì strane guise Morir pur dei, del rogo esser consorte, Se del letto non fui: duolmi il tuo fato, Il mio non già, poich'io ti moro a lato.
Ed oh mia morte avventurosa appieno! Oh fortunati miei dolci martiri! S'impetrerò che giunto seno a seno L'anima mia nella tua bocca io spiri; E, venendo tu meco a un tempo meno, In me fuor mandi gli ultimi sospiri. Così dice piangendo: ella il ripiglia Soavemente, e in tai detti il consiglia.
Amico, altri pensieri, altri lamenti
Per più alta cagione il tempo chiede. Chè non pensi a tue colpe, e non rammenti Qual Dio promette ai buoni ampia mercede? Soffri in suo nome, e sian dolci i tormenti, E lieto aspira alla superna sede.
Mira il ciel com'è bello, e mira il sole, Ch'a sè par che n'inviti, e ne console.
Qui il vulgo de' Pagani il pianto estolle; Piange il fedel, ma in voci assai più basse. Un non so che d'inusitato e molle
Par che nel duro petto al re trapasse: Ei pressentillo, e si sdegnò; nè volle Piegarși, e gli occhi torse, e si ritrasse. Tu sola il duol comun non accompagni, Sofronia, e pianta da ciascun non piagni.
Mentre sono in tal rischio, ecco un guerriero (Chè tal parea) d'alta sembianza e degna; E mostra, d'arme e d'abito straniero, Che di lontan peregrinando vegna. La tigre, che sull'elmo ha per cimiero, Tutti gli occhi a sè trae; famosa insegna, Insegna usata da Clorinda in guerra, Onde la credon lei; nè il creder erra.
Costei gl'ingegni femminili e gli usi Tutti sprezzò sin dall'etate acerba; Ai lavori d' Aracne, all'ago, ai fusi Inchinar non degnò la man superba; Fuggì gli abiti molli e i lochi chiusi, Chè ne' campi onestate anco si serba : Armò d'orgoglio il volto, e si compiacque Rigido farlo; e pur rigido piacque.
Tenera ancor con pargoletta destra
Strinse e lentò d'un corridore il morso; Trattò l'asta e la spada, ed in palestra Indurò i membri, ed allenògli al corso: Poscia o per via montana o per silvestra L'orme seguì di fier leone e d'orso; Segui le guerre; e in esse, e fra le selve, Fera agli uomini parve, uomo alle belve.
Viene or costei dalle contrade perse, Perchè ai Cristiani a suo poter resista; Bench'altre volte ha di lor membra asperse Le piagge, e l'onda di lor sangue ha mista. Or quinci in arrivando a lei s’offerse L'apparato di morte a prima vista. Di mirar vaga, e di saper qual fallo Condanni i rei, sospinge oltre il cavallo.
Cedon le turbe; e i duo legati insieme Ella si ferma a riguardar da presso: Mira che l'una tace, e l'altro geme, E più vigor mostra il men forte sesso; Pianger lui vede in guisa d'uom, cui preme Pietà, non doglia, o duol non di sè stesso; E tacer lei con gli occhi al ciel sì fisa, Ch'anzi'l morir par di qua giù divisa.
Clorinda intenerissi, e si condolse
D'ambeduo loro, e lacrimonne alquanto. Pur maggior sente il duol per chi non duolse; Più la move il silenzio, e meno il pianto. Senza troppo indugiare ella si volse Ad un uom, che canuto avea da canto: Deh, dimmi chi son questi, ed al martoro Qual li conduce o sorte o colpa loro?
Così pregollo: e da colui risposto Breve, ma pieno, alle dimande fue. Stupissi udendo, e immaginò ben tosto, Ch'egualmente innocenti eran que' due. Già di vietar lor morte ha in sè proposto, Quanto potranno i preghi o l'armi sue. Pronta accorre alla fiamma, e fa ritrarla, Che già s'appressa, ed ai ministri parla.
Alcun non sia di voi, che'n questo duro Ufficio oltra seguire abbia baldanza, Sinch'io non parli al re: ben v'assicuro, Ch'ei non v'accuserà di tal tardanza. Ubbidiro i sergenti, e mossi furo Da quella grande sua regal sembianza. Poi verso il re si mosse, e lui tra via Ella trovò, che incontro a lei venía.
Io son Clorinda, disse; hai forse intesa Talor nomarmi; e qui, signor, ne vegno Per ritrovarmi teco alla difesa
Della fede comune e del tuo regno.
Son pronta, imponi pure, ad ogni impresa; L'alte non temo, e l'umili non sdegno: Voglimi in campo aperto, o pur tra 'l chiuso Delle mura impiegar, nulla ricuso.
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