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113

Non può far quel magnanimo ch'almeno
Sia lor fuga più tarda o più raccolta;
Chè non ha la paura arte, nè freno,
Nè pregar qui, nè comandar s'ascolta.
Il pio Buglion, che i suoi pensieri appieno
Vede fortuna a favorir rivolta,

Segue della vittoria il lieto corso,

E invía novello ai vincitor soccorso.

114

E, se non che non era il dì che scritto
Dio negli eterni suoi decreti avea,
Quest'era forse il dì che'l campo invitto
Delle sante fatiche al fin giungea;

Ma la schiera infernal, ch'in quel conflitto
La tirannide sua cader vedea,

Sendole ciò permesso, in un momento
L'aria in nubi ristrinse, e mosse il vento.

115

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Dagli occhi de' mortali un negro velo
Rapisce il giorno e'l sole: e par ch'avvampi
Negro vie più ch'orror d'inferno il cielo;
Così fiammeggia infra baleni e lampi:
Fremono i tuoni; e pioggia accolta in gelo
Si versa, e i paschi abbatte, e inonda i campi:
Schianta i rami il gran turbo, e par che crolli
Non pur le querce, ma le rocche e i colli.

116

L'acqua in un tempo, il vento e la tempesta
Negli occhi ai Franchi impetuosa fere;
E l'improvvisa violenza arresta
Con un terror quasi fatal le schiere.
La minor parte d'esse accolta resta
(Chè veder non le puote) alle bandiere.
Ma Clorinda, che quindi alquanto è lunge,
Prende opportuno il tempo, e'l destrier punge.

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Ella gridava ai suoi: Per noi combatte,
Compagni, il cielo, e la giustizia aíta:
Dall'ira sua le facce nostre intatte
Sono; e non è la destra indi impedita:
E nella fronte solo irato ei batte
Della nemica gente impaurita,

E la scote dell'arme, e della luce
La priva: andianne pur, chè 'l fato è duce.

118

Così spinge le genti, e, ricevendo
Sol nelle spalle l'impeto d'inferno,
Urta i Francesi con assalto orrendo,
E i vani colpi lor si prende a scherno.
Ed in quel tempo Argante anco volgendo
Fa de' già vincitori aspro governo:
E quei lasciando il campo a tutto corso
Volgono al ferro e alle procelle il dorso.

119

Percotono le spalle ai fuggitivi
L'ire immortali e le mortali spade;
E'l sangue corre, e fa commisto ai rivi
Della gran pioggia rosseggiar le strade.
Qui tra'l vulgo de' morti e de' mal vivi
E Pirro e 'l buon Ridolfo estinto cade;
Chè toglie a questo il fier Circasso l'alma,
E Clorinda di quello ha nobil palma.

120

Così fuggiano i Franchi; e di lor caccia
Non rimaneano i siri anco o i demoni.
Sol contra l'armi, e contra ogni minaccia
Di gragnuole, di turbini e di tuoni
Volgea Goffredo la secura faccia,
Rampognando aspramente i suoi baroni;
E, fermo anzi la porta il gran cavallo,
Le genti sparse raccogliea nel vallo.

121

E ben due volte il corridor sospinse
Contra il feroce Argante, e lui ripresse;
Ed altrettante il nudo ferro spinse
Dove le turbe ostili eran più spesse:
Alfin con gli altri insieme ei si ristrinse
Dentro ai ripari, e la vittoria cesse.
Tornano allora i Saracini; e stanchi

Restan nel vallo e sbigottiti i Franchi.

240

LA GERUSALEM. LIBER. C. VII.

122

Nè quivi ancor dell'orride procelle
Ponno appieno schivar la forza e l'ira:
Ma sono estinte or queste faci, or quelle;
E per tutto entra l'acqua, e'l vento spira;
Squarcia le tele, e spezza i pali, e svelle
Le tende intere, e lunge indi le gira;
La pioggia ai gridi, ai venti, ai tuon s'accorda
D'orribile armonía, che 'l mondo assorda.

LIBERATA

CANTO OTTAVO.

Del

ARGOMENTO.

generoso Dano il caso fiero,
Che correndo all'onor corse all'occaso,
Narra al duce Goffredo un cavaliero,
Che sol di tanti eroi vivo è rimaso.
Quindi il latino stuol credendo vero
Ciò ch'immagin fallace ha persúaso,
Piagne morto Rinaldo, e sdegno spira;
Ma'l Buglion frena 'l moto, acqueta l'ira.

I

Già cheti erano i tuoni e le tempeste,

E cessato il soffiar d'austro e di coro;
E l'alba uscía dalla magion celeste
Con la fronte di rose e co' piè d'oro:
Ma quei, che le procelle avean già deste,
Non rimaneansi ancor dall' arti loro;
Anzi l'un d'essi, ch'Astagorre è detto,
Così parlava alla compagna Aletto:

Tom I.

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