Non può far quel magnanimo ch'almeno Sia lor fuga più tarda o più raccolta; Chè non ha la paura arte, nè freno, Nè pregar qui, nè comandar s'ascolta. Il pio Buglion, che i suoi pensieri appieno Vede fortuna a favorir rivolta,
Segue della vittoria il lieto corso,
E invía novello ai vincitor soccorso.
E, se non che non era il dì che scritto Dio negli eterni suoi decreti avea, Quest'era forse il dì che'l campo invitto Delle sante fatiche al fin giungea;
Ma la schiera infernal, ch'in quel conflitto La tirannide sua cader vedea,
Sendole ciò permesso, in un momento L'aria in nubi ristrinse, e mosse il vento.
Dagli occhi de' mortali un negro velo Rapisce il giorno e'l sole: e par ch'avvampi Negro vie più ch'orror d'inferno il cielo; Così fiammeggia infra baleni e lampi: Fremono i tuoni; e pioggia accolta in gelo Si versa, e i paschi abbatte, e inonda i campi: Schianta i rami il gran turbo, e par che crolli Non pur le querce, ma le rocche e i colli.
L'acqua in un tempo, il vento e la tempesta Negli occhi ai Franchi impetuosa fere; E l'improvvisa violenza arresta Con un terror quasi fatal le schiere. La minor parte d'esse accolta resta (Chè veder non le puote) alle bandiere. Ma Clorinda, che quindi alquanto è lunge, Prende opportuno il tempo, e'l destrier punge.
Ella gridava ai suoi: Per noi combatte, Compagni, il cielo, e la giustizia aíta: Dall'ira sua le facce nostre intatte Sono; e non è la destra indi impedita: E nella fronte solo irato ei batte Della nemica gente impaurita,
E la scote dell'arme, e della luce La priva: andianne pur, chè 'l fato è duce.
Così spinge le genti, e, ricevendo Sol nelle spalle l'impeto d'inferno, Urta i Francesi con assalto orrendo, E i vani colpi lor si prende a scherno. Ed in quel tempo Argante anco volgendo Fa de' già vincitori aspro governo: E quei lasciando il campo a tutto corso Volgono al ferro e alle procelle il dorso.
Percotono le spalle ai fuggitivi L'ire immortali e le mortali spade; E'l sangue corre, e fa commisto ai rivi Della gran pioggia rosseggiar le strade. Qui tra'l vulgo de' morti e de' mal vivi E Pirro e 'l buon Ridolfo estinto cade; Chè toglie a questo il fier Circasso l'alma, E Clorinda di quello ha nobil palma.
Così fuggiano i Franchi; e di lor caccia Non rimaneano i siri anco o i demoni. Sol contra l'armi, e contra ogni minaccia Di gragnuole, di turbini e di tuoni Volgea Goffredo la secura faccia, Rampognando aspramente i suoi baroni; E, fermo anzi la porta il gran cavallo, Le genti sparse raccogliea nel vallo.
E ben due volte il corridor sospinse Contra il feroce Argante, e lui ripresse; Ed altrettante il nudo ferro spinse Dove le turbe ostili eran più spesse: Alfin con gli altri insieme ei si ristrinse Dentro ai ripari, e la vittoria cesse. Tornano allora i Saracini; e stanchi
Restan nel vallo e sbigottiti i Franchi.
LA GERUSALEM. LIBER. C. VII.
Nè quivi ancor dell'orride procelle Ponno appieno schivar la forza e l'ira: Ma sono estinte or queste faci, or quelle; E per tutto entra l'acqua, e'l vento spira; Squarcia le tele, e spezza i pali, e svelle Le tende intere, e lunge indi le gira; La pioggia ai gridi, ai venti, ai tuon s'accorda D'orribile armonía, che 'l mondo assorda.
generoso Dano il caso fiero, Che correndo all'onor corse all'occaso, Narra al duce Goffredo un cavaliero, Che sol di tanti eroi vivo è rimaso. Quindi il latino stuol credendo vero Ciò ch'immagin fallace ha persúaso, Piagne morto Rinaldo, e sdegno spira; Ma'l Buglion frena 'l moto, acqueta l'ira.
Già cheti erano i tuoni e le tempeste,
E cessato il soffiar d'austro e di coro; E l'alba uscía dalla magion celeste Con la fronte di rose e co' piè d'oro: Ma quei, che le procelle avean già deste, Non rimaneansi ancor dall' arti loro; Anzi l'un d'essi, ch'Astagorre è detto, Così parlava alla compagna Aletto:
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