Soggiunse l'altro allora: E tu prometti Di tornar, rimenando il tuo prigione, Perch' altrimenti non fia mai ch'aspetti Per la nostra contesa altra stagione. Così giuraro: e poi gli araldi eletti A prescriver il tempo alla tenzone, Per dare spazio alle lor piaghe onesto, Stabiliro il mattin del giorno sesto.
Lasciò la pugna orribile nel core De' Saracini e de' Fedeli impressa Un'alta meraviglia ed un orrore,
Che per lunga stagione in lor non cessa. Sol dell' ardir si parla e del valore,
Che l'un guerriero e l'altro ha mostro in essa : Ma qual si debbia di lor duo preporre, Vario e discorde il vulgo in sè discorre:
E sta sospeso in aspettando quale
Avrà la fera lite avvenimento; E se'l furore alla virtù prevale, O se cede l'audacia all'ardimento. Ma più di ciascun altro, a cui ne cale, La bella Erminia n' ha cura e tormento; Chè dai giudizj dell'incerto Marte
Vede pender di sè la miglior parte.
Costei, che figlia fu del re Cassano, Che d'Antiochia già l'imperio tenne, Preso il suo regno, al vincitor cristiano, Fra l'altre prede, anch'ella in poter venne. Ma fulle in guisa allor Tancredi umano, Che nulla ingiuria in sua balía sostenne; Ed onorata fu, nella ruina
Dell'alta patria sua, come reina.
L'onorò, la servì, di libertate
Dono le fece il cavaliero egregio;
E le furo da lui tutte lasciate
Le gemme e gli ori e ciò ch'avea di pregio. Ella vedendo in giovenetta etate, E in leggiadri sembianti animo regio, Restò presa d'Amor, che mai non strinse Laccio di quel più fermo, onde lei cinse.
Così, se'l corpo libertà riebbe,
Fu l'alma sempre in servitute astretta. Ben molto a lei d'abbandonare increbbe Il signor caro e la prigion diletta; Ma l'onestà regal, che mai non debbe Da magnanima donna esser negletta, La costrinse a partirsi, e con l'antica Madre a ricoverarsi in terra amica.
Venne a Gerusalemme; e quivi accolta Fu dal tiranno del paese ebreo:
Ma tosto pianse in nere spoglie avvolta Della sua genitrice il fato reo.
Pur nè'l duol, che le sia per morte tolta, Nè l'esilio infelice unqua poteo L'amoroso desío sveller dal core,
Nè favilla ammorzar di tanto ardore.
Ama ed arde la misera; e sì poco,
In tale stato, che sperar le avanza, Che nudrisce nel sen l'occulto foco Di memoria vie più che di speranza: E, quanto è chiuso in più secreto loco, Tanto ha l'incendio suo maggior possanza. Tancredi alfine a risvegliar sua spene
Sovra Gerusalemme ad oste viene.
Sbigottir gli altri all'apparir di tante. Nazioni e sì indomite e sì fere: Fe' sereno ella il torbido sembiante, E lieta vagheggiò le squadre altere; E con avidi sguardi il caro amante Cercando gio fra quelle armate schiere. Cercollo invan sovente, ed anco spesso Eccolo, disse, e 'l riconobbe espresso.
Nel palagio regal sublime sorge Antica torre assai presso alle mura; Dalla cui sommità tutta si scorge L'oste cristiana e'l monte e la pianura. Quivi, da che il suo lume il sol ne porge, Insin che poi la notte il mondo oscura, S'asside, e gli occhi verso il campo gira, E co' pensieri suoi parla, e sospira.
Quinci vide la pugna, e'l cor nel petto Senti tremarsi in quel punto sì forte, Che parea che dicesse: Il tuo diletto È quegli là, che 'n rischio è della morte. Così d'angoscia piena e di sospetto Mirò i successi della dubbia sorte;
E, sempre che la spada il Pagan mosse, Sentì nell'alma il ferro e le percosse.
Ma, poichè 'l vero intese, e intese ancora Che dee l'aspra tenzon rinnovellarsi, Insolito timor così l'accora,
Che sente il sangue suo di ghiaccio farsi. Talor secrete lagrime, e talora Sono occulti da lei gemiti sparsi: Pallida, esangue, e sbigottita in atto, Lo spavento e'l dolor v’avea ritratto.
Con orribile immago il suo pensiero Ad or ad or la turba e la sgomenta: E vie più che la morte il sonno è fiero; Sì strane larve il sogno le appresenta. Parle veder l'amato cavaliero
Lacero e sanguinoso; e par che senta Ch'egli aíta le chieda: e, desta intanto, Si trova gli occhi e'l sen molle di pianto.
Nè sol la tema di futuro danno
Con sollecito moto il cor le scote; Ma delle piaghe, ch'egli avea, l'affanno È cagion che quetar l'alma non puote. E i fallaci romor, ch'intorno vanno, Crescon le cose incognite e remote; Si ch'ella avvisa che vicino a morte Giaccia oppresso languendo il guerrier forte.
E, perocch' ella dalla madre apprese Qual più secreta sia virtù dell'erbe, E con quai carmi nelle membra offese Sani ogni piaga, e'l duol si disacerbe; Arte, che per usanza in quel paese Nelle figlie dei re par che si serbe; Vorría di sua man propria alle ferute Del suo caro signor recar salute.
« ПредишнаНапред » |