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fu detto di Omero (1), cioè aver lui a più persone, che qualsivoglia grandissimo re, dato impiego e sosten

tamento.

Si è molto disputato se la Gerusalemme liberata del Tasso debba preferirsi al Furioso dell' Ariosto; confronto che non dovrebbe aver luogo se non quanto alla fecondità dell'immaginazione, agli ornamenti del racconto e all'eleganza dello stile, perchè i due pocmi sono fra loro di troppo dissimil natura, essendo romanzesco l'uno, epico l'altro. Che il Tasso medesimo si anteponesse al ferrarese Omero, potè, dedursi da alcuni suoi familiari discorsi, e forse da que' versi che leggonsi nella seconda Gerusalemme :

E d'angelico suon canora tromba
Faccia quella tacer ch' oggi rimbomba.

Un gran poeta, Benedetto Menzini, senza decidere la questione, paragonò solamente i due poemi a due palazzi, uno vasto ed immenso, che ha gran sale, archi, teatri dorati, e fregi e statue per sostenere il peso dell'alte travi: dove nell' altro di minor mole tutto è ben compartito e ordinato con quell'arte che i latini e i greci architetti insegnarono (2). Un maggior poeta ancora, quantunque allevato nella scuola del Gravina, che non risonava se non se delle lodi dell'Ariosto, confessa che, allora quando capace di giudicare per sè medesimo lesse per la prima volta il Goffredo, lo

(1) Bisogna convenire che non ebbe l'Epopeja due caratteri più passionati e più tragici dell' Achille dell'Iliade, e del Rinaldo della Gerusalemme; e questo merito che fa il fondamento dei due poemi, con tant' altri giustificano abbastanza la venerazione e l'ammirazione che si ha e si avrà per Omero e pel Tasso anche da quelli che non gustano le bellezze originali dello stile. Domanda il signor la Harpe (Cours de Littérature, tom. I) perchè leggendo Lucano nelle più felici traduzioni poetiche che si son fatte di lui, fino a procurare di togliergli que' difetti de' quali abbonda, non si provi diletto, come si prova leggendo il Tasso nelle versioni le più mediocri; e risponde, perchè il Tasso vi attacca e v'interessa, e Lucano a dispetto di molte bellezze forti ed originali sparse nel suo poema vi stanca e vi annoja.

(2) Art. Poet. lib. 2. Si confessa debitore al Redi di questa similitudine, da cui senti più volte adoperarla in occasione di parlare sopra questi due antesignani dell' epica poesía.

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spettacolo ch'ei vide, come in un quadro, di una grande e sola azione lucidamente proposta, magistralmente condotta e perfettamente compiuta; la varietà di tanti avvenimenti che la producono e l'arricchiscono senza moltiplicarla; la magía di uno stile sempre limpido, sempre sublime, sempre sonoro e possente à rivestir della propria sua nobiltà i più comuni ed umili oggetti; il vigoroso colorito col quale ei paragona e descrive; la seduttrice evidenza con la quale ei narra e persuade; i caratteri veri e costanti, la connession dell'idee, la dottrina, il giudizio, e sopra ogni altra cosa la portentosa forza d'ingegno che invece d'infiacchirsi, come comunemente addiviene in ogni lungo lavoro, fino all'ultimo verso in lui mirabilmente si accresce, lo ricolmarono di un nuovo sino a quel tempo sconosciuto diletto, di una rispettosa ammirazione, di un vivo rimorso della sua lunga ingiustizia, e di uno sdegno implacabile contro coloro che credono oltraggioso all'Ariosto il solo paragon di Torquato. Fin qui il Metastasio in una lettera a don Domenico Diodati. Ei non nega che può talvolta dispiacere nel Tasso la lima troppo visibilmente adoperata, certe acutezze di concetti inferiori all'elevazione della mente di lui, e che rasentano il manierato a segno di aver preparata l'infelice rivoluzione che si fece nello stile nel secolo susseguente, le tenerezze amorose rettoricamente espresse, ed altre minori macchie quas aut incuria fudit, aut humana parum cavit natura; ma che la lima stessa così frequentemente trascurata dall'Ariosto, la scurrilità poco decente ad un costumato poeta, e gli amori troppo naturali sono ancora in lui peggiori e più riprensibili difetti. Se l'autorità sola bastasse a decidere le letterarie questioni, per una parte e per l'altra de due poemi potrebbero citarsi nomi del primo ordine, e quel che recentemente è stato pubblicato dal Galileo, fedele di troppo alla sua Accademia della Crusca, che tanti rilevò difetti nella Ge rusalemme, quanto toglie al Tasso, altrettanto concede all'Ariosto, che in ogni paragone di racconti, di descrizioni, d'imitazioni, di viva e feconda immaginazione, di eleganza di stile e d'ogni pregio poetico ottiene, secondo lui, la palma. Altri ha assomigliato il Tasso a un delicato vaghissimo miniatore in cui e il colorito e il disegno hanno tutta quella finezza che può

bramarsi, e l'Ariosto ad un Buonarotti, ad un Giulio Romano, ad un Rubens, che con forte ed ardito pennello fanno quasi toccar con mano i più grandi, i più passionati, i più terribili oggetti che si proposero di rappresentare (*). Han detto altri che miglior poema è quello del Tasso, ma maggior poeta l'Ariosto. Finalmente avvi chi ha pronunziato che tutti e due sono pittori insigni, ma che l'uno naturalista felicissimo copia il vero particolare, e che l'altro ci presenta il bello ideale; che l'uno trattiene colla varietà, che l'altro appaga ed interessa coll'ordine; che l'uno ha l'evidenza del detaglio, e l'altro quella della precisione e dell'energía; e che se nell' uno si scorge la fecondità irregolare della natura, nell' altro la simmetría e il lavoro dell'arte si occupa forse di soverchio a perfezionarla; onde l'uno più facilmente può ottener perdono delle sue negligenze, che l'altro, presso il quale la maestosa compostezza del numero, l'esatta osservazion del decoro, i tanti e continui lumi di elocuzione e d'ingegno, rendono il lettore, forzato ad un' ammirazione perpetua, più severo nell' esame dei difetti. Checchè sia di questi giudizj, egli è certissimo che la poesía italiana dee a questi due scrittori il suo più nobile ornamento in un genere in cui quella delle più colte nazioni d'Europa niente ha da contrapporle.

(*) Tiraboschi, Storia della Letteratura italiana, tomo VII, p. 115.

LA

GERUSALEMME

LIBERATA

TASSO, Vol. I.

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