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C. XVII, ST. 18.

Vengono sotto Gazel quei che le biade

Ognuno s'accorge che questo verso è alquanto lunghetto. Noi l'abbiamo ridotto alla giusta misura, stampando

Vengon sotto Gazél quei che le biade

come si trova in tutte l'altre edizioni.

C. XVII, ST. 34.

E frena il dotto auriga il giogo adorno
Quattro unicorni a coppia a coppia avvinti.

Con tutte quante l'edizioni noi leggiamo al giogo; nè fa d'uopo accennarne la ragione.

C. XVII, ST. 63.

E fran con maggior forza indi ripresse
Le cupidigie, empj nemici interni.

Veggasi il luogo, incominciando dalla stanza addietro; e apparirà sull' istante che il costrutto non può direttamente procedere, fuorchè leggendo E sian in vece di E fian. Tutte le stampe vanno d'accordo colla nostra lezione così emendata.

C. XVII, ST. 75.

D'incontra, Azzo secondo avean ritratto
Far contra Berengario aspre contese;

Tutte l'edizioni, tranne una, portano alla stessa maniera il 1.° verso qui citato; e quest'una è l'edizione di Casalmaggiore, la quale, in vece di avean ritratto, legge avea ritratto. E noi ci siamo ad essa attenuti, perchè il poeta accenna le imprese degli avi di Rinaldo figurate in un maraviglioso scudo, intorno al quale lavorò un solo artefice, non già più d'uno, come farebbe supporre la lezione avean ritratto:

Con sottil magistero in campo angusto
Forme infinite espresse il fabro dotto.

ST. 66.

C. XVII, ST. 86.

Quando il

garzon si volge al vecchio, e dice:

Non è il garzone che si volge al vecchio, ma sì bene questi che si volge a quello; e di fatto tutte l'edizioni, dalla bodoniana in fuori, leggono:

Quando al garzon si volge il vecchio, e dice: se non che la mantovana, in cambio di vecchio, ha veglio.

C. XVIII, st. 37.

Tronca la noce; e noce e mirto parve.

Questo verso, così sfigurato

così sfigurato e privo

di senso, si legge pure nell' edizioni di

Casalmaggiore, di Genova, e di Firenze. Meno cattiva è la seguente lezione del codice Baruffaldi:

Tronca la noce; e noce e mirto sparve;

ma nè questa pure ci potea contentare, perciocchè il poeta non parlò mai da prima di noce alcuna, ed è sul mirto che Rinaldo raddoppia i colpi della sua spada: oltredichè lo sparve di questo verso nocerebbe alla bellezza del verso seguente, per esservi ripetuto il medesimo verbo: Qui l'incanto fornì, sparîr le larve. Noi pertanto, seguendo la Critica e le stampe di Mantova per Francesco Osanna, e di Venezia per Carlo Buonarrigo, abbiam posto:

Tronca la noce; è noce, e mirto parve.

Il qual verso si trova, direm così, ratificato e dichiarato nella Gerusalemme conquistala (C. XXII, ST. 22), dove il Tasso espresse il medesimo concetto in questa forma:

Ei la noce troncò, che mirto parve (*).

(*) Gli amatori del purgato favellare potranno aggiugnere questo esempio di noce, albero, nel genere femminile, a' seguenti: ed è cosa che da niun vocabolario fu sinora notata, E l'angulo a questo seguente

C. XVIII, ST. 49.

Una colomba per l'aeree strade
Vista è passar sovra lo stuol francese;
Che ne dimena i presti vanni, e rade
Quelle liquide vie con l'ali tese.

Nell'espressione ne dimena i vanni ci parve primieramente che stesse oziosa la particella ne, e inoltre che non vi fosse abbastanza d'accordo col radere le liquide vie con l'ali tese. Laonde messici a riscontrare altre stampe, trovammo che l'edizione di Casalmaggiore, la fiorentina, quella di Venezia del 1589 per Altobello Palicato, e qualche altra, leggono non dimena; e questa lezionę ci riuscì più soddisfacente. La medesima fu scelta pure dal Zanni per la sua traduzione latina:

at niveas non stridula commovet alas, Sed passis alte liquidum secat aëra pennis. A fine però d'andar sul sicuro, consultammo la Gerusalemme conquistala; e

teneva la frigida noce, dante a sè medesima co' suoi frutti cagione d'asprissime battiture. Boccac. Am. 91. — E dopo lunghi aggiramenti si trovò per fortuna alla noce di Benevento, intorno alla quale stavano allegramente ballonzolando moltissime streghe. REDI, lett. Cerfuglio, il più che puote, ogn' arte e ingegno Usa per tor la noce a Benevento. GIGANTEA, st. 6, attribuita a Girol. Amelonghi.

visto che quivi (C. XVI, sr. 57) il Tasso dettò:

Che non dibatte i presti vanni, e rade
Quelle liquide vie coll' ali tese,

non dubitammo di abbandonare la lezione bodoniana, e d'appigliarci all'altra, suggerita, noi crediamo, al Tasso da quel noto terzetto di Dante:

Quali colombe dal disío chiamate

Coll' ali aperte e ferme al dolce nido
Volan per l'aer dal voler portate.

C. XIX, ST. 64.

Ben ei darà ciò che per te si chiede; Ma congiunta l'avrai d'alta mercede. È facile accorgersi che la lezione del secondo verso è sbagliata, non v'essendo parola alcuna con cui si possa far concordare l'addiettivo congiunta. Due maniere ci si presentavano da correggerla; l'una offertaci dall'edizione di Casalmaggiore, la quale ha:

Ma con giunta l'avrai d'alta mercede; l'altra indicatane dalla Gerusalemme conquistata, C. XVII, ST. 59, dove si legge:

Ben ei darà ciò che per te si chiede;
Ma congiunto l'avrai d'alta mercede.

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