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XVIII

Non aspettâr già l'alme a Dio rubelle
Che fusser queste voci al fin condotte;
Ma fuor volando a riveder le stelle
Già se n'uscían dalla profonda notte,
Come sonanti e torbide procelle
Che vengan fuor delle natie lor grotte
Ad oscurare il cielo, a portar guerra
Ai gran regni del mare e della terra.

XIX

,

Tosto spiegando in varj lati i vanni
Si furon questi per lo mondo sparti;
E 'ncominciaro a fabbricare inganni
Diversi e novi, ed ad usar lor arti.
Ma di' tu, Musa, come i primi danni
Mandassero ai Cristiani, e di quai parti:
Tul sai; ma di tant' opra a noi si lunge
Debil aura di fama appena giunge.

XX

Reggea Damasco e le città vicine
Idraote, famoso e nobil mago

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Che sin da' suoi prim' anni all' indovine
Arti si diede, e ne fu ognor più vago.
Ma che giovâr, se non poteo del fine
Di quella incerta guerra esser presago?
Ned aspetto di stelle erranti, o fisse
Nè risposta d'inferno il ver predisse.

XXI

Giudicò questi (ahi! cieca umana mente,
Come i giudicj tuoi son vani e torti ! )
Ch'all' esercito invitto d'occidente
Apparecchiasse il ciel ruine e morti :
Però, credendo che l'egizia gente
La palma dell'impresa alfin riporti,
Desia che 'l popol suo nella vittoria
Sia dell' acquisto a parte e della gloria.

XXII

Ma, perchè sanguinosa e cruda estima
Che fia tal guerra, e del suo danno teme,
Ei va pensando con qual arte in prima
Il poter de' Cristiani in parte sceme,
Sì che più agevolmente indi s' opprima
Dalle sue genti e dall' egizie insieme.
In questo suo pensier il sovraggiunge
L'angelo iniquo, e più l'instiga e punge.

XXIII

Esso il consiglia, e gli ministra i modi
Onde l'impresa agevolar si puote.
Donna, a cui di beltà le prime lodi
Concedea l'orïente, è sua nipote:
Gli accorgimenti e le più occulte frodi,
Ch'usi o femmina o maga, a lei son note:
Questa a sè chiama, e seco i suoi consigli
Comparte, e vuol che cura ella ne pigli.

XXIV

Dice: O diletta mia, che sotto biondi
Capelli e fra sì tenere sembianze
Canuto senno e cor virile ascondi,
E già nell' arti mie me stesso avanze,
Gran pensier volgo; e, se tu lui secondi,
Seguiranno gli effetti alle speranze:
Tessi la tela, ch' io ti mostro ordita,
Di cauto vecchio esecutrice ardita.

XXV

Vanne al campo nemico: ivi s'impieghi
Ogn' arte femminil, ch'amore alletti:
Bagna di pianto, e fa melati i preghi;
Tronca e confondi co' sospiri i detti:
Beltà dolente e miserabil pieghi
Al tuo volere i più ostinati petti:
Vela il soverchio ardir con la vergogna,
E fa manto del vero alla menzogua.

XXVI

Prendi, s'esser potrà, Goffredo all' esca
De' dolci sguardi e de' bei detti adorni;
Sì ch'all'uomo invaghito omai rincresca
L'incominciata guerra, e la distorni.
S'esso non puoi, gli altri più grandi adesca;
Menagli in parte, ond'alcun mai non torni.
Poi distingue i consigli; alfin le dice:
Per la fe, per la patria il tutto lice.

XXVII

La bella Armida, di sua forma altera,
E de' doni del sesso e dell'etate
L'impresa prende; e in su la prima sera
Parte, e tiene sol vie chiuse e celate:
E'n treccia e 'n gonna femminile spera
Vincer popoli invitti e schiere armate.
Ma son del suo partir tra 'l vulgo ad arte
Diverse voci poi diffuse e sparte.

XXVIII

Dopo non molti dì vien la donzella
Dove spiegate i Franchi avean le tende.
All'apparir della beltà novella

Nasce un bisbiglio, e 'l guardo ognun v'intende,
Siccome là, dove cometa o stella
Non-più vista di giorno in ciel risplende;
E traggon tutti per veder chi sia
Sì bella peregrina, e chi l'invía.

XXIX

Argo non mai, non vide Cipro o Delo
D'abito o di beltà forme sì care:

D'auro ha la chioma, ed or dal bianco velo
Traluce involta, or discoperta appare:
Così qualor si rasserena il cielo,
Or da candida nube il sol traspare
Or dalla nube uscendo i raggi intorno

Più chiari spiega, e ne raddoppia il giorno.

XXX

Fa nuove crespe l'aura al crin disciolto
Che natura per sè rincrespa in onde;
Stassi l'avaro sguardo in sè raccolto
Ei tesori d'amore e i suoi nasconde.
Dolce color di rose in quel bel volto
Fra l'avorio si sparge e si confonde;
Ma nella bocca, ond' esce aura amorosa,
Sola rosseggia e semplice la rosa.

XXXI

Mostra il bel petto le sue nevi ignude,
Onde il foco d'amor si nutre e desta :
Parte appar delle mamme acerbe e crude,
Parte altrui ne ricopre invida vesta:
Invida, ma s' agli occhi il varco chiude,
L'amoroso pensier già non arresta;
Chè non ben pago di bellezza esterna,
Negli occulti segreti anco s' interna.

XXXII

Come per acqua o per cristallo intero
Trapassa il raggio, e nol divide o parte,
Per entro il chiuso manto osa il pensiero
Sì penetrar nella vietata parte:

Ivi si spazia, ivi contempla il vero
Di tante meraviglie a parte a parte;
Poscia al desio le narra e le descrive,
E ne fa le sue fiamme in lui più vive.

XXXIII

Lodata passa e vagheggiata Armida
Fra le cupide turbe, e se n' avvede:
Nol mostra già, benchè in suo cor ne rida,
E ne disegni alte vittorie e prede.
Mentre, sospesa alquanto, alcuna guida
Che la conduca al capitan richiede,
Eustazio occorse a lei, che del sovrano
Principe delle squadre era germano.
TASSO, Vol. I.

6

XXXIV

Come al lume farfalla, ei si rivolse
Allo splendor della beltà divina ;
E rimirar da presso i lumi volse,
Che dolcemente atto modesto inchina;
E ne trasse gran fiamma, e la raccolse,
Come da foco suole esca vicina;
E disse verso lei, chè audace e baldo
Il fea degli anni e dell' amore il caldo:

Donna

XXXV

se pur tal nome a te conviensi,
Chè non somigli tu cosa terrena,
Nè v'è figlia d'Adamo, in cui dispensi
Cotanto il ciel di sua luce serena;

Che da te si ricerca ? e donde viensi?
Qual tua ventura o nostra or qui ti mena?
Fa ch'io sappia chi sei, fa ch'io non erri
Nell' onorarti, e, s'è ragion, m'atterri.

XXXVI

Risponde: Il tuo lodar troppo alto sale;
Nè tanto in suso il merto nostro arriva :
Cosa vedi, signor, non pur mortale,
Ma già morta ai diletti, al duol sol viva.
Mia sciagura mi spinge in loco tale,
Vergine peregrina e fuggitiva:

Ricorro al pio Goffredo, e in lui confido;
Tal va di sua bontate intorno il grido.

XXXVII

Tu l'adito m'impetra al capitano,
S'hai, come pare, alma cortese e pia.
Ed egli È ben ragion ch' all' un germano
L'altro ti guidi, e intercessor ti sia.
Vergine bella, non ricorri invano;
Non è vile appo lui la grazia mia:
Spender tutto potrai, come t'aggrada,
Ciò che vaglia il suo scettro, o la mia spada.

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