Non aspettâr già l'alme a Dio rubelle Che fusser queste voci al fin condotte; Ma fuor volando a riveder le stelle Già se n'uscían dalla profonda notte, Come sonanti e torbide procelle Che vengan fuor delle natie lor grotte Ad oscurare il cielo, a portar guerra Ai gran regni del mare e della terra.
Tosto spiegando in varj lati i vanni Si furon questi per lo mondo sparti; E 'ncominciaro a fabbricare inganni Diversi e novi, ed ad usar lor arti. Ma di' tu, Musa, come i primi danni Mandassero ai Cristiani, e di quai parti: Tul sai; ma di tant' opra a noi si lunge Debil aura di fama appena giunge.
Reggea Damasco e le città vicine Idraote, famoso e nobil mago
Che sin da' suoi prim' anni all' indovine Arti si diede, e ne fu ognor più vago. Ma che giovâr, se non poteo del fine Di quella incerta guerra esser presago? Ned aspetto di stelle erranti, o fisse Nè risposta d'inferno il ver predisse.
Giudicò questi (ahi! cieca umana mente, Come i giudicj tuoi son vani e torti ! ) Ch'all' esercito invitto d'occidente Apparecchiasse il ciel ruine e morti : Però, credendo che l'egizia gente La palma dell'impresa alfin riporti, Desia che 'l popol suo nella vittoria Sia dell' acquisto a parte e della gloria.
Ma, perchè sanguinosa e cruda estima Che fia tal guerra, e del suo danno teme, Ei va pensando con qual arte in prima Il poter de' Cristiani in parte sceme, Sì che più agevolmente indi s' opprima Dalle sue genti e dall' egizie insieme. In questo suo pensier il sovraggiunge L'angelo iniquo, e più l'instiga e punge.
Esso il consiglia, e gli ministra i modi Onde l'impresa agevolar si puote. Donna, a cui di beltà le prime lodi Concedea l'orïente, è sua nipote: Gli accorgimenti e le più occulte frodi, Ch'usi o femmina o maga, a lei son note: Questa a sè chiama, e seco i suoi consigli Comparte, e vuol che cura ella ne pigli.
Dice: O diletta mia, che sotto biondi Capelli e fra sì tenere sembianze Canuto senno e cor virile ascondi, E già nell' arti mie me stesso avanze, Gran pensier volgo; e, se tu lui secondi, Seguiranno gli effetti alle speranze: Tessi la tela, ch' io ti mostro ordita, Di cauto vecchio esecutrice ardita.
Vanne al campo nemico: ivi s'impieghi Ogn' arte femminil, ch'amore alletti: Bagna di pianto, e fa melati i preghi; Tronca e confondi co' sospiri i detti: Beltà dolente e miserabil pieghi Al tuo volere i più ostinati petti: Vela il soverchio ardir con la vergogna, E fa manto del vero alla menzogua.
Prendi, s'esser potrà, Goffredo all' esca De' dolci sguardi e de' bei detti adorni; Sì ch'all'uomo invaghito omai rincresca L'incominciata guerra, e la distorni. S'esso non puoi, gli altri più grandi adesca; Menagli in parte, ond'alcun mai non torni. Poi distingue i consigli; alfin le dice: Per la fe, per la patria il tutto lice.
La bella Armida, di sua forma altera, E de' doni del sesso e dell'etate L'impresa prende; e in su la prima sera Parte, e tiene sol vie chiuse e celate: E'n treccia e 'n gonna femminile spera Vincer popoli invitti e schiere armate. Ma son del suo partir tra 'l vulgo ad arte Diverse voci poi diffuse e sparte.
Dopo non molti dì vien la donzella Dove spiegate i Franchi avean le tende. All'apparir della beltà novella
Nasce un bisbiglio, e 'l guardo ognun v'intende, Siccome là, dove cometa o stella Non-più vista di giorno in ciel risplende; E traggon tutti per veder chi sia Sì bella peregrina, e chi l'invía.
Argo non mai, non vide Cipro o Delo D'abito o di beltà forme sì care:
D'auro ha la chioma, ed or dal bianco velo Traluce involta, or discoperta appare: Così qualor si rasserena il cielo, Or da candida nube il sol traspare Or dalla nube uscendo i raggi intorno
Più chiari spiega, e ne raddoppia il giorno.
Fa nuove crespe l'aura al crin disciolto Che natura per sè rincrespa in onde; Stassi l'avaro sguardo in sè raccolto Ei tesori d'amore e i suoi nasconde. Dolce color di rose in quel bel volto Fra l'avorio si sparge e si confonde; Ma nella bocca, ond' esce aura amorosa, Sola rosseggia e semplice la rosa.
Mostra il bel petto le sue nevi ignude, Onde il foco d'amor si nutre e desta : Parte appar delle mamme acerbe e crude, Parte altrui ne ricopre invida vesta: Invida, ma s' agli occhi il varco chiude, L'amoroso pensier già non arresta; Chè non ben pago di bellezza esterna, Negli occulti segreti anco s' interna.
Come per acqua o per cristallo intero Trapassa il raggio, e nol divide o parte, Per entro il chiuso manto osa il pensiero Sì penetrar nella vietata parte:
Ivi si spazia, ivi contempla il vero Di tante meraviglie a parte a parte; Poscia al desio le narra e le descrive, E ne fa le sue fiamme in lui più vive.
Lodata passa e vagheggiata Armida Fra le cupide turbe, e se n' avvede: Nol mostra già, benchè in suo cor ne rida, E ne disegni alte vittorie e prede. Mentre, sospesa alquanto, alcuna guida Che la conduca al capitan richiede, Eustazio occorse a lei, che del sovrano Principe delle squadre era germano. TASSO, Vol. I.
Come al lume farfalla, ei si rivolse Allo splendor della beltà divina ; E rimirar da presso i lumi volse, Che dolcemente atto modesto inchina; E ne trasse gran fiamma, e la raccolse, Come da foco suole esca vicina; E disse verso lei, chè audace e baldo Il fea degli anni e dell' amore il caldo:
se pur tal nome a te conviensi, Chè non somigli tu cosa terrena, Nè v'è figlia d'Adamo, in cui dispensi Cotanto il ciel di sua luce serena;
Che da te si ricerca ? e donde viensi? Qual tua ventura o nostra or qui ti mena? Fa ch'io sappia chi sei, fa ch'io non erri Nell' onorarti, e, s'è ragion, m'atterri.
Risponde: Il tuo lodar troppo alto sale; Nè tanto in suso il merto nostro arriva : Cosa vedi, signor, non pur mortale, Ma già morta ai diletti, al duol sol viva. Mia sciagura mi spinge in loco tale, Vergine peregrina e fuggitiva:
Ricorro al pio Goffredo, e in lui confido; Tal va di sua bontate intorno il grido.
Tu l'adito m'impetra al capitano, S'hai, come pare, alma cortese e pia. Ed egli È ben ragion ch' all' un germano L'altro ti guidi, e intercessor ti sia. Vergine bella, non ricorri invano; Non è vile appo lui la grazia mia: Spender tutto potrai, come t'aggrada, Ciò che vaglia il suo scettro, o la mia spada.
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