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XXII

Così al pubblico fato il capo altero
Offerse, e 'l volse in sè sola raccorre.
Magnanima menzogna, or quando è il vero
Sì bello, che si possa a te preporre?
Riman sospeso, e non si tosto il fero
Tiranno all'ira, come suol, trascorre :
Poi la richiede: Io vo' che tu mi scopra
Chi diè consiglio, e chi fu insieme all'opra.

XXIII

Non volsi far della mia gloria altrui
Nè pur minima parte, ella gli dice;
Sol di me stessa io consapevol fui,
Sol consigliera, e sola esecutrice.
Dunque in te sola, ripigliò colui,
Caderà l'ira mia vendicatrice.
Disse ella: È giusto; esser a me conviene,
Se fui sola all' onor, sola alle pene.

XXIV

Qui comincia il tiranno a risdegnarsi;
Poi le dimanda: Ov' hai l'immago ascosa?
Non la nascosi, a lui risponde, io l'arsi;
E l'arderla stimai laudabil cosa:

Così almen non potrà più vïolarsi
Per man di miscredenti ingiurïosa.
Signore, o chiedi il furto, o il ladro chiedi:
Quel non vedrai in eterno, e questo il vedi.

XXV

Benchè nè furto è il mio, nè ladra io sono;
Giusto è ritor ciò ch'a gran torto è tolto.
Or, questo udendo, in minaccevol suono
Freme il tiranno, e 'l fren dell'ira è sciolto.
Non speri più di ritrovar perdono
Cor pudico, alta mente, e nobil volto;
E 'ndarno Amor contra lo sdegno crudo
Di sua vaga bellezza a lei fa scudo.

TASSO, Vol. I.

3

XXVI

Presa è la bella donna; e incrudelito

Il re la danna entro un incendio a morte.
Già 'l velo e 'l casto manto è a lei rapito;
Stringon le molli braccia aspre ritorte.
Ella si tace; e in lei non sbigottito,
Ma pur commosso alquanto è'l petto forte;
E smarrisce il bel volto in un colore
Che non è pallidezza, ma candore.

XXVII

Divulgossi il gran caso; e quivi tratto
Già 'l popol s'era: Olindo anco v'accorse:
Chè, dubbia la persona, e certo il fatto
Venia, che fosse la sua donna, in forse.
Come la bella prigioniera in atto

Non pur di rea, ma di dannata ei scorse;
Come i ministri al duro ufficio intenti
Vide, precipitoso urtò le genti.

XXVIII

Al re gridò: Non è, non è già rea
Costei del furto, e per follía sen vanta.
Non pensò, non ardì, nè far potea
Donna sola e inesperta opra cotanta.
Come ingannò i custodi, e della Dea
Con qual arti involò l'immagin santa?
Se 'l fece, il narri. Io l'ho, signor, furata.
Ahi! tanto amò la non amante amata.

XXIX

Soggiunse poscia: Io là donde riceve
L'alta vostra meschita e l'aura e 'l die,
Di notte ascesi, e trapassai per breve
Foro, tentando inaccessibil vie.
A me l'onor, la morte a me si deve;
Non usurpi costei le pene mie:

Mie son quelle catene, e per me questa
Fiamma s'accende, e 'l rogo a me s'appresta.

XXX

Alza Sofronia il viso, e umanamente
Con occhi di pietade in lui rimira.
A che ne vieni, o misero innocente ?
Qual consiglio o furor ti guida o tira?
Non son io dunque senza te possente
A sostener ciò che d' un uom può l'ira?
Ho petto anch' io, ch' ad una morte crede
Di bastar solo, e compagnia non chiede.

XXXI

Così parla all' amante; e nol dispone
Si ch' egli si disdica o pensier mute.
Oh spettacolo grande, ove a tenzone
Sono amore e magnanima virtute!
Ove la morte al vincitor si pone

In premio; e 'l mal del vinto è la salute!
Ma più s' irrita il re, quant' ella ed esso
È più costante in incolpar sè stesso.

XXXII

Pargli che vilipeso egli ne resti,

E che 'n disprezzo suo sprezzin le pène. Credasi, dice, ad ambo; e quella e questi Vinca; e la palma sia qual si conviene. Indi accenna ai sergenti, i quai son presti A legar il garzon di lor catene.

Sono ambo stretti al palo stesso, e vôlto
È il tergo al tergo, el volto ascoso al volto.

XXXIII

Composto è lor d' intorno il rogo omai,
E già le fiamme il mantice v' incita;
Quando il fanciullo in dolorosi lai
Proruppe, e disse a lei ch'è seco unita:
Questo dunque è quel laccio ond' io sperai
Teco accoppiarmi in compagnia di vita ?
Questo è quel foco ch' io credea che i cori
Ne dovesse infiammar d' eguali ardori ?
TASSO, Vol. I.

3*

XXXIV

Altre fiamme, altri nodi amor promise;
Altri ce n'apparecchia iniqua sorte.
Troppo, ahi! ben troppo ella già noi divise;
Ma duramente or ne congiunge in morte.
Piacemi almen, poichè in sì strane guise
Morir pur dei, del rogo esser consorte,
Se del letto non fui: duolmi il tuo fato ;
Il mio non già, poich' io ti moro a lato.

XXXV

Ed oh mia morte avventurosa appieno!
Oh fortunati miei dolci martiri!
S'impetrerò che giunto seno a seno
L'anima mia nella tua bocca io spiri;
E, venendo tu meco a un tempo meno,
In me fuor mandi gli ultimi sospiri.
Cosi dice piangendo ella il ripiglia
Soavemente, e in tai detti il consiglia.

XXXVI

Amico, altri pensieri, altri lamenti

Per più alta cagione il tempo chiede.
Chè non pensi a tue colpe, e non rammenti
Qual Dio promette ai buoni ampia mercede ?
Soffri in suo nome, e fian dolci i tormenti;
E lieto aspira alla superna sede.

Mira il ciel com'è bello; e mira il sole
Ch' a sè par che n'inviti e ne console.

XXXVII

Qui il vulgo de' Pagani il pianto estolle;
Piange il fedel, ma in voci assai più basse.
Un non so che d'inusitato e molle
Par che nel duro petto al re trapasse:
Ei presentillo, e si sdegnò; nè volle
Piegarsi, e gli occhi torse, e si ritrasse.
Tu sola il duol comun non accompagni,
Sofronia; e pianta da ciascun, non piagni,

XXXVIII

Mentre sono in tal rischio, ecco un guerriero
(Chè tal parea) d'alta sembianza e degna;
E mostra, d'arme e d'abito straniero,
Che di lontan peregrinando vegna.

La tigre, che sull' elmo ha per cimiero,
Tutti gli occhi a sè trae; famosa insegna,
Insegna usata da Clorinda in guerra:
Onde la credon lei, nè il creder erra.

XXXIX

Costei gl'ingegni femminili e gli usi
Tutti sprezzò sin dall'etate acerba ;
Ai lavori d'Aracne, all'ago, ai fusi
Inchinar non degnò la man superba;
Fuggì gli abiti molli e i lochi chiusi,
Chè ne campi onestate anco si serba :
Armò d'orgoglio il volto, e si compiacque
Rigido farlo; e pur rigido piacque.

XL

Tenera ancor con pargoletta destra

Strinse e lentò d'un corridore il morso;
Trattò l'asta e la spada, ed in palestra
Indurò i membri, ed allenògli al corso:
Poscia o per via montana o per silvestra
L'orme seguì di fier leone e d'orso;
Seguì le guerre; e in esse, e fra le selve,
Fera agli uomini parve, uomo alle belve.

XLI

Viene or costei dalle contrade Perse,

Perchè ai Cristiani a suo poter resista;
Bench' altre volte ha di lor membra asperse
Le piagge, e l'onda di lor sangue ha mista.
Or quinci in arrivando a lei s'offerse
L'apparato di morte a prima vista.
Di mirar vaga, e di saper qual fallo
Condanni i rei, sospinge oltre il cavallo.

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