v. 6. E di là poscia anco a' Tedeschi tende. Var. ed. fior. ST. LXXIV v. 6. Que' pochi, la cui mente il vero alluma; ST. LXXVI Cod. Bar. v. 8. È nota, il mondo cieco anco discopra. ST. LXXVII Var. ed. fior. v. 5. E da' suoi circondato indi sen viene ST. LXXX Ed. man. v. 1. Ah non fia ver che tanta indegnitate Ed. fior. v. 5. E perchè or la giustizia alla pietate 6. Ceda, nè sovra i rei la pena scenda, V. ST. LXXXI v. 6. Di dignità, di maestà, d'orrore; Cod. Bar. Var. ed. fior. v. 6. Mentr'ei parlò, di maestà, d'orrore; Ed. Cas. Var. ed. fior. ST. LXXXIII v. 7. Nè i gran velli, i gran denti, e l'ugne c'hanno ST. LXXXV Ed. Cas. Nelle varie lezioni dell' edizione fiorentina, dopo la st. 85. si leggono le due seguenti, con cui termina il canto. Le quali pur dopo difficil cura Fornite omai por si poteano in uso. E udito avendo ancor che grande schiera TASSO, Vol. I. 19 ANNOTAZIONI ALLA GERUSALEMME LIBERATA CANTO PRIMO STANZA I Canto l'armi pietose e 'l Capitano Questo capitano è Goffredo Buglione, duca della Bassa Lorena, il quale avea di già acquistato grandissima fama militando negli eserciti dell' imperatore Enrico IV. Fu de' primi ad arrolarsi nella Crociata, e con numeroso esercito partì dalla Lorena il giorno 15 d'agosto 1096: col proprio senno, più che colle armi, superò le insidie del greco imperatore Alessio Comneno: prese Nicea, Antiochia ed altre città della Siria: riconciliò più volte gli animi discordi degli altri duci: entrò pel primo in Gerusalemme, e ne fu fatto re a pieni voti dagli stessi capitani. Guglielmo di Tiro (lib. 2) lo chiama vir magnificus et illustris. Molto egli oprò col senno e con la mano; DANTE, Inf. C. XVI. e sotto ai santi Segni ridusse i suoi compagni erranti. Il Tasso vien qui dal Galilei accusato quasi di lavoratore di tarsie, perchè avendo egli detto, in generale, che l'Inferno si oppose all'impresa di Goffredo, discende poi come per ripieno al particolare, e soggiunge che il Ciel ridusse, ec.; di modo che chiunque non abbia prima letto tutto il libro, non potrà sapere a che proposito sia detto questo. Troppo sottile censura, per non dir altro; giacchè il poeta prima di scendere a questa particolare sentenza, un altra ne pose pur generale contro dell' invan l'Inferno a lui s'oppose, nelle parole il Ciel gli die favore: spiega quindi e particolarizza questo favore col dire che il Cielo ridusse i compagni, ec.; e desta ne' lettori quella sì gioconda curiosità che tiene sospeso l'animo, e concilia l'attenzione. Il Galilei avrebbe potuto chiedere colla stessa critica per qual ragione Virgilio nel primo dell'Eneide dice di Enea, dum conderet Urbem, inferretque Deos, ec., prima che il lettore sia reso consapevole di ciò che particolarmente appartiene ai Penati ed alla città di cui parla il poeta. ST. III Così all'egro fanciul, ec. Questa similitudine o comparazione è presa da Lucrezio, il quale nel libro I, v. 935, dice: Sed veluti pueris absinthia taetra medentes e quel che segue. Anche Platone (lib. II de Leg.), rendendo la ragione perchè gli antichi Greci avevano dimandato giuochi e canzoni lo studio e la disciplina de' fanciulli, si valse della medesima similitudine. Questo inganno de' fanciulli, Socrate appo Senofonte lo addimanda giusto nel poema del Tasso si può chiamare eziandio santo. Al quale proposito è da vedere Lattanzio Firmiano nel libro quinto Institutionum, dove si legge: Circumlinatur modo poculum caelesti melle sapientiae, ec. (Gent.) ST. VI Già 'l sesto anno volgea, che 'n orïente |