Conduce ei sempre alle marittime onde Vicino il campo per diritte strade, Sapendo ben che le propinque sponde L'amica armata costeggiando rade; La qual può far che tutto il campo abbonde De' necessarj arnesi, e che le biade Ogn' isola de' Greci a lui sol mieta, E Scio pietrosa gli vendemmi, e Creta.
Geme il vicino mar sotto l'incarco Dell' alte navi e de' più lievi pini; Sì che non s'apre omai securo varco Nel mar mediterraneo ai Saracini: Ch'oltra quei, c'ha Georgio armati e Marco Ne' veneziani e liguri confini,
Altri Inghilterra e Francia, ed altri Olanda, E la fertil Sicilia altri ne manda.
E questi, che son tutti insieme uniti Con saldissimi lacci in un volere, S'eran carchi e provvisti in varj liti Di ciò ch'è d'uopo alle terrestri schiere; Le quai, trovando liberi e sforniti I passi de' nemici alle frontiere, In corso velocissimo sen vanno Là 've Cristo soffri mortale affanno.
Ma precorsa è la fama apportatrice De' veraci romori e de' bugiardi, Ch' unito è il campo vincitor felice; Che già s'è mosso, e che non è chi'l tardi: Quante e quai sian le squadre ella ridice; Narra il nome e 'l valor de' più gagliardi; Narra i lor vanti, e con terribil faccia Gli usurpatori di Sion minaccia.
E l'aspettar del male è mal peggiore Forse che non parrebbe il mal presente? Pende ad ogn' aura incerta di romore Ogni orecchia sospesa ed ogni mente; E un confuso bisbiglio entro e di fuore Trascorre i campi e la città dolente. Ma il vecchio re ne' già vicin perigli Volge nel dubbio cor feri consigli.
Aladin detto è il re, che di quel regno Novo signor vive in continua cura; Uom già crudel, ma 'l suo feroce ingegno Pur mitigato avea l'età matura:
Egli che de' Latini udì il disegno, C'han d'assalir di sua città le mura, Giunge al vecchio timor novi sospetti, E de nemici pave e de' soggetti.
Perocchè dentro a una città commisto Popolo alberga di contraria fede; La debil parte e la minore in Cristo La grande e forte in Macometto crede. Ma quando il re fe' di Sïon l'acquisto, E vi cercò di stabilir la sede
Scemò i pubblici pesi a' suoi Pagani, Ma più gravonne i miseri Cristiani.
Questo pensier la ferità nativa,
Che dagli anni sopita e fredda langue, Irritando inasprisce e la ravviva
Si ch'assetata è più che mai di sangue. Tal fero torna alla stagione estiva Quel che parve nel gel piacevol angue: Così leon domestico riprende
L'innato suo furor, s'altri l'offende.
Veggio, dicea, della letizia nova Veraci segni in questa turba infida: Il danno universal solo a lei giova; Sol nel pianto comun par ch'ella rida; E forse insidie e tradimenti or cova, Rivolgendo fra sè come m'uccida, O come al mio nemico e suo consorte Popolo occultamente apra le porte.
Ma nol farà prevenirò questi empj Disegni loro, e sfogherommi appieno; Gli ucciderò, faronne acerbi scempj; Svenerò i figli alle lor madri in seno; Arderò loro alberghi e insieme i tempj: Questi i debiti roghi ai morti fieno; E su quel lor sepolcro in mezzo ai voti Vittime pria farò de' sacerdoti.
Così l'iniquo fra suo cor ragiona; Pur non segue pensier sì mal concetto: Ma, s'a quegli innocenti egli perdona, È di viltà, non di pietade effetto: Chè s'un timor a incrudelir lo sprona, Il ritien più potente altro sospetto; Troncar le vie d'accordo, e de' nemici Troppo teme irritar l'armi vittrici.
Tempra dunque il fellon la rabbia insana, Anzi altrove pur cerca ove la sfoghi; I rustici edifizj abbatte e spiana, E dà in preda alle fiamme i culti luoghi; Parte alcuna non lascia integra o sana, Ove il Franco si pasca, ove s'alloghi; Turba le fonti e i rivi, e le pure onde Di veneni mortiferi confonde.
Spietatamente è cauto; e non obblía Di rinforzar Gerusalem frattanto. Da tre lati fortissima era pria, Sol verso borea è men secura alquanto; Ma da' primi sospetti ei le munía D'alti ripari il suo men forte canto; E v'accogliea gran quantitade in fretta Di gente mercenaria e di soggetta.
Mormora Ismeno in su l'immagin diva Della Diva del ciel note profane: Ma quell' empia magía d'effetto è priva, Sì che Aladin di sdegno ebbro rimane; E mentre ei vuol ch'un sol Cristian non viva, Vuol morir, vuol quetar le voglie insane Sofronia, Olindo; ma Clorinda il vieta; E sfida, e grida Argante, e non s'acqueta.
Mentre il tiranno s'apparecchia all'armi,
Soletto Ismeno un dì gli s' appresenta ; Ismen, che trar di sotto ai chiusi marmi Può corpo estinto, e far che spiri e senta; Ismen, ch' al suon de' mormorati carmi Sin nella reggia sua Pluto spaventa, E i suoi demon negli empj uffici impiega Pur come servi, e li discioglie e lega.
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