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LXXVIII

Conduce ei sempre alle marittime onde
Vicino il campo per diritte strade,
Sapendo ben che le propinque sponde
L'amica armata costeggiando rade;
La qual può far che tutto il
campo abbonde
De' necessarj arnesi, e che le biade
Ogn' isola de' Greci a lui sol mieta,
E Scio pietrosa gli vendemmi, e Creta.

LXXIX

Geme il vicino mar sotto l'incarco
Dell' alte navi e de' più lievi pini;
Sì che non s'apre omai securo varco
Nel mar mediterraneo ai Saracini:
Ch'oltra quei, c'ha Georgio armati e Marco
Ne' veneziani e liguri confini,

Altri Inghilterra e Francia, ed altri Olanda,
E la fertil Sicilia altri ne manda.

LXXX

E questi, che son tutti insieme uniti
Con saldissimi lacci in un volere,
S'eran carchi e provvisti in varj liti
Di ciò ch'è d'uopo alle terrestri schiere;
Le quai, trovando liberi e sforniti
I passi de' nemici alle frontiere,
In corso velocissimo sen vanno
Là 've Cristo soffri mortale affanno.

LXXXI

Ma precorsa è la fama apportatrice
De' veraci romori e de' bugiardi,
Ch' unito è il campo vincitor felice;
Che già s'è mosso, e che non è chi'l tardi:
Quante e quai sian le squadre ella ridice;
Narra il nome e 'l valor de' più gagliardi;
Narra i lor vanti, e con terribil faccia
Gli usurpatori di Sion minaccia.

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LXXXII

E l'aspettar del male è mal peggiore
Forse che non parrebbe il mal presente?
Pende ad ogn' aura incerta di romore
Ogni orecchia sospesa ed ogni mente;
E un confuso bisbiglio entro e di fuore
Trascorre i campi e la città dolente.
Ma il vecchio re ne' già vicin perigli
Volge nel dubbio cor feri consigli.

LXXXIII

Aladin detto è il re, che di quel regno
Novo signor vive in continua cura;
Uom già crudel, ma 'l suo feroce ingegno
Pur mitigato avea l'età matura:

Egli che de' Latini udì il disegno,
C'han d'assalir di sua città le mura,
Giunge al vecchio timor novi sospetti,
E de nemici pave e de' soggetti.

LXXXIV

Perocchè dentro a una città commisto
Popolo alberga di contraria fede;
La debil parte e la minore in Cristo
La grande e forte in Macometto crede.
Ma quando il re fe' di Sïon l'acquisto,
E vi cercò di stabilir la sede

Scemò i pubblici pesi a' suoi Pagani,
Ma più gravonne i miseri Cristiani.

LXXXV

Questo pensier la ferità nativa,

Che dagli anni sopita e fredda langue,
Irritando inasprisce e la ravviva

Si ch'assetata è più che mai di sangue.
Tal fero torna alla stagione estiva
Quel che parve nel gel piacevol angue:
Così leon domestico riprende

1

L'innato suo furor, s'altri l'offende.

LXXXVI

Veggio, dicea, della letizia nova
Veraci segni in questa turba infida:
Il danno universal solo a lei giova;
Sol nel pianto comun par ch'ella rida;
E forse insidie e tradimenti or cova,
Rivolgendo fra sè come m'uccida,
O come al mio nemico e suo consorte
Popolo occultamente apra le porte.

LXXXVII

Ma nol farà prevenirò questi empj
Disegni loro, e sfogherommi appieno;
Gli ucciderò, faronne acerbi scempj;
Svenerò i figli alle lor madri in seno;
Arderò loro alberghi e insieme i tempj:
Questi i debiti roghi ai morti fieno;
E su quel lor sepolcro in mezzo ai voti
Vittime pria farò de' sacerdoti.

LXXXVIII

Così l'iniquo fra suo cor ragiona;
Pur non segue pensier sì mal concetto:
Ma, s'a quegli innocenti egli perdona,
È di viltà, non di pietade effetto:
Chè s'un timor a incrudelir lo sprona,
Il ritien più potente altro sospetto;
Troncar le vie d'accordo, e de' nemici
Troppo teme irritar l'armi vittrici.

LXXXIX

Tempra dunque il fellon la rabbia insana,
Anzi altrove pur cerca ove la sfoghi;
I rustici edifizj abbatte e spiana,
E dà in preda alle fiamme i culti luoghi;
Parte alcuna non lascia integra o sana,
Ove il Franco si pasca, ove s'alloghi;
Turba le fonti e i rivi, e le pure onde
Di veneni mortiferi confonde.

LXXXX

Spietatamente è cauto; e non obblía
Di rinforzar Gerusalem frattanto.
Da tre lati fortissima era pria,
Sol verso borea è men secura alquanto;
Ma da' primi sospetti ei le munía
D'alti ripari il suo men forte canto;
E v'accogliea gran quantitade in fretta
Di gente mercenaria e di soggetta.

LA

GERUSALEMME

LIBERATA

CANTO SECONDO

ARGOMENTO

Mormora Ismeno in su l'immagin diva
Della Diva del ciel note profane:
Ma quell' empia magía d'effetto è priva,
Sì che Aladin di sdegno ebbro rimane;
E mentre ei vuol ch'un sol Cristian non viva,
Vuol morir, vuol quetar le voglie insane
Sofronia, Olindo; ma Clorinda il vieta;
E sfida, e grida Argante, e non s'acqueta.

Mentre il tiranno s'apparecchia all'armi,

Soletto Ismeno un dì gli s' appresenta ;
Ismen, che trar di sotto ai chiusi marmi
Può corpo estinto, e far che spiri e senta;
Ismen, ch' al suon de' mormorati carmi
Sin nella reggia sua Pluto spaventa,
E i suoi demon negli empj uffici impiega
Pur come servi, e li discioglie e lega.

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