Mentre Sión spera il vicin soccorso, Fuor esce Argante dalle oppresse mura, E sfida i Franchi. Otton audace il corso Movendo, a sè la prigionía procura. Ma Tancredi col fiero in giostra corso Tenzon accende e sanguinosa e dura. Cedon l'armi alla notte. Erminia il caro Suo trova, e'n un gliel fura inciampo amaro.
Ma d'altra parte le assediate genti Speme miglior conforta e rassecura; Ch'oltra il cibo raccolto, altri alimenti Son lor dentro portati a notte oscura: Ed han munite d'armi e d'instromenti Di guerra verso l'aquilon le mura, Che d'altezza accresciute, e sode e grosse, Non mostran di temer d'urti o di scosse.
El re pur sempre queste parti e quelle Lor fa innalzare, e rinforzare i fianchi, O l'aureo so! risplenda, od alle stelle Ed alla luna il fosco ciel s'imbianchi; E in far continuamente armi novelle Sudano i fabri affaticati e stanchi. In sì fatto apparecchio intollerante A lui sen venne, e ragionògli Argante:
E sino a quando ci terrai prigioni Fra queste mura in vile assedio e lento? Odo ben io stridere incudi, e suoni D'elmi e di scudi e di corazze i sento; Ma non veggio a qual uso: e quei ladroni Scorrono i campi e i borghi a lor talento; Nè v'è di noi chi mai lor passo arresti Nè tromba che dal sonno almen li desti.
A lor nè i prandi mai turbati e rotti, Nè molestate son le cene liete; Anzi egualmente i dì lunghi e le notti Traggon con sicurezza e con quïete. Voi dai disagi e dalla fame indotti A darvi vinti a lungo andar sarete, Od a morirne qui, come codardi Quando d'Egitto pur l'ajuto tardi.
Io per me n vo' già ch' ignobil morte I giorni mi d'oscuro obblío ricopra ; Ne vo' ch' al novo di fra queste porte L'alma luce del sol chiuso mi scopra. Di questo viver mio faccia la sorte Quel che già stabilito è là di sopra; Non sarà già che senza oprar la spada Inglorioso e invendicato io cada.
Ma, quando pur del valor vostro usato Così non fosse in voi spento ogni seme, Non di morir pugnando ed onorato, Ma di vita e di palma anco avrei speme. A incontrare i nemici e 'l nostro fato Andianne pur deliberati insieme;
Chè spesso avvien che ne' maggior perigli Sono i più audaci gli ottimi consigli.
Ma, se nel troppo osar tu non isperi, Nè sei d' uscir con ogni squadra ardito Procura almen che sia per duo guerrieri Questo tuo gran litigio or diffinito. E, perchè accetti ancor più volentieri Il capitan de' Franchi il nostro invito, L'arme egli scelga, e 'l suo vantaggio toglia, E le condizion formi a sua voglia.
Chè, se'l nemico avrà due mani ed una Anima sola, ancor ch'audace e fera, Temer non dei, per isciagura alcuna, Che la ragion da me difesa pera. Puote in vece di fato e di fortuna Darti la destra mia vittoria intera; Ed a te sè medesma or porge in pegno, Che, se'l confidi in lei, salvo è il tuo regno.
Tacque; e rispose il re: Giovene ardente, Sebben me vedi in grave età senile, Non sono al ferro queste man sì lente, Nè sì quest' alma è neghittosa e vile, Ch' anzi morir volesse ignobilmente, Che di morte magnanima e gentile, Quand' io temenza avessi o dubbio alcuno De' disagi che annunzi e del digiuno.
Cessi Dio tanta infamia. Or quel ch' ad arte Nascondo altrui, vo' ch' a te sia palese. Soliman di Nicea, che brama in parte Di vendicar le ricevute offese, Degli Arabi le schiere erranti e sparte Raccolte ha fin dal libico paese; E i nemici assalendo all' aria nera Darne soccorso e vettovaglia spera.
Tosto fia che qui giunga: or se frattanto Son le nostre castella oppresse e serve, Non ce ne caglia, pur che 'l regal manto E la mia nobil reggia io mi conserve. Tu l'ardimento e questo ardore alquanto Tempra, per Dio, che 'n te soverchio ferve; Ed opportuna la stagione aspetta
Alla tua gloria ed alla mia vendetta.
Forte sdegnossi il Saracino audace, Ch' era di Solimano emulo antico; Sì amaramente ora d'udir gli spiace Che tanto sen prometta il rege amico. A tuo senno, risponde, e guerra e pace Farai, signor; nulla di ciò più dico. S'indugi pure, e Soliman s'attenda ; Ei, che perdè il suo regno, il tuo difenda.
Vengane a te, quasi celeste messo, Liberator del popolo pagano;
Ch'io, quanto a me,
bastar credo a me stesso,
E sol vo' libertà da questa mano.
Or nel riposo altrui siami concesso Ch'io no discenda a guerreggiar nel piano: Privato cavalier, non tuo campione, Verrò co' Franchi a singolar tenzone.
Replica il re Sebben l'ira e la spada Dovresti riserbare a miglior uso; Che tu sfidi però, se ciò t'aggrada, Alcun guerrier nemico io non ricuso. Così gli disse; ed ei punto non bada: Va, dice ad un araldo, or colà giuso; Ed al duce de' Franchi, udendo l'oste, Fa queste mie non picciole proposte:
Ch'un cavalier, che d'appiattarsi in questo Forte cinto di muri a sdegno prende, Brama di far con l'arme or manifesto Quanto la sua possanza oltra si stende; E ch'a duello di venirne è presto Nel pian, ch'è fra le mura e l'alte tende, Per prova di valore; e che disfida Qual più de' Franchi in sua virtù si fida:
E che non solo è di pugnare accinto E con uno e con duo del campo ostile; Ma dopo il terzo, il quarto accetta, e 'l quinto, Sia di vulgare stirpe, o di gentile: Dia, se vuol, la franchigia, e serva il vinto Al vincitor, come di guerra è stile. Così gl' impose; ed ei vestissi allotta La purpurea dell' arme aurata cotta.
E, poichè giunse alla regal presenza Del principe Goffredo e de' baroni, Chiese: O signore, ai messaggier licenza Dassi tra voi di liberi sermoni? Dassi, rispose il capitano; e senza Alcun timor la tua proposta esponi. Riprese quegli Or si parrà, se grata O formidabil fia l'alta ambasciata.
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