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Mentre Sión spera il vicin soccorso,
Fuor esce Argante dalle oppresse mura,
E sfida i Franchi. Otton audace il corso
Movendo, a sè la prigionía procura.
Ma Tancredi col fiero in giostra corso
Tenzon accende e sanguinosa e dura.
Cedon l'armi alla notte. Erminia il caro
Suo trova, e'n un gliel fura inciampo amaro.

Ma d'altra parte le assediate genti
Speme miglior conforta e rassecura;
Ch'oltra il cibo raccolto, altri alimenti
Son lor dentro portati a notte oscura:
Ed han munite d'armi e d'instromenti
Di guerra verso l'aquilon le mura,
Che d'altezza accresciute, e sode e grosse,
Non mostran di temer d'urti o di scosse.

II

El re pur sempre queste parti e quelle
Lor fa innalzare, e rinforzare i fianchi,
O l'aureo so! risplenda, od alle stelle
Ed alla luna il fosco ciel s'imbianchi;
E in far continuamente armi novelle
Sudano i fabri affaticati e stanchi.
In sì fatto apparecchio intollerante
A lui sen venne, e ragionògli Argante:

III

E sino a quando ci terrai prigioni
Fra queste mura in vile assedio e lento?
Odo ben io stridere incudi, e suoni
D'elmi e di scudi e di corazze i sento;
Ma non veggio a qual uso: e quei ladroni
Scorrono i campi e i borghi a lor talento;
Nè v'è di noi chi mai lor passo arresti
Nè tromba che dal sonno almen li desti.

IV

A lor nè i prandi mai turbati e rotti,
Nè molestate son le cene liete;
Anzi egualmente i dì lunghi e le notti
Traggon con sicurezza e con quïete.
Voi dai disagi e dalla fame indotti
A darvi vinti a lungo andar sarete,
Od a morirne qui, come codardi
Quando d'Egitto pur l'ajuto tardi.

V

Io per me n vo' già ch' ignobil morte
I giorni mi d'oscuro obblío ricopra ;
Ne vo' ch' al novo di fra queste porte
L'alma luce del sol chiuso mi scopra.
Di questo viver mio faccia la sorte
Quel che già stabilito è là di sopra;
Non sarà già che senza oprar la spada
Inglorioso e invendicato io cada.

VI

Ma, quando pur del valor vostro usato
Così non fosse in voi spento ogni seme,
Non di morir pugnando ed onorato,
Ma di vita e di palma anco avrei speme.
A incontrare i nemici e 'l nostro fato
Andianne pur deliberati insieme;

Chè spesso avvien che ne' maggior perigli
Sono i più audaci gli ottimi consigli.

VII

Ma, se nel troppo osar tu non isperi,
Nè sei d' uscir con ogni squadra ardito
Procura almen che sia per duo guerrieri
Questo tuo gran litigio or diffinito.
E, perchè accetti ancor più volentieri
Il capitan de' Franchi il nostro invito,
L'arme egli scelga, e 'l suo vantaggio toglia,
E le condizion formi a sua voglia.

VIII

Chè, se'l nemico avrà due mani ed una
Anima sola, ancor ch'audace e fera,
Temer non dei, per isciagura alcuna,
Che la ragion da me difesa pera.
Puote in vece di fato e di fortuna
Darti la destra mia vittoria intera;
Ed a te sè medesma or porge in pegno,
Che, se'l confidi in lei, salvo è il tuo regno.

IX

Tacque; e rispose il re: Giovene ardente,
Sebben me vedi in grave età senile,
Non sono al ferro queste man sì lente,
Nè sì quest' alma è neghittosa e vile,
Ch' anzi morir volesse ignobilmente,
Che di morte magnanima e gentile,
Quand' io temenza avessi o dubbio alcuno
De' disagi che annunzi e del digiuno.

X

Cessi Dio tanta infamia. Or quel ch' ad arte
Nascondo altrui, vo' ch' a te sia palese.
Soliman di Nicea, che brama in parte
Di vendicar le ricevute offese,
Degli Arabi le schiere erranti e sparte
Raccolte ha fin dal libico paese;
E i nemici assalendo all' aria nera
Darne soccorso e vettovaglia spera.

ΧΙ

Tosto fia che qui giunga: or se frattanto
Son le nostre castella oppresse e serve,
Non ce ne caglia, pur che 'l regal manto
E la mia nobil reggia io mi conserve.
Tu l'ardimento e questo ardore alquanto
Tempra, per Dio, che 'n te soverchio ferve;
Ed opportuna la stagione aspetta

Alla tua gloria ed alla mia vendetta.

XII

Forte sdegnossi il Saracino audace,
Ch' era di Solimano emulo antico;
Sì amaramente ora d'udir gli spiace
Che tanto sen prometta il rege amico.
A tuo senno, risponde, e guerra e pace
Farai, signor; nulla di ciò più dico.
S'indugi pure, e Soliman s'attenda ;
Ei, che perdè il suo regno, il tuo difenda.

XIII

Vengane a te, quasi celeste messo,
Liberator del popolo pagano;

Ch'io, quanto a me,

bastar credo a me stesso,

E sol vo' libertà da questa mano.

Or nel riposo altrui siami concesso
Ch'io no discenda a guerreggiar nel piano:
Privato cavalier, non tuo campione,
Verrò co' Franchi a singolar tenzone.

XIV

Replica il re Sebben l'ira e la spada
Dovresti riserbare a miglior uso;
Che tu sfidi però, se ciò t'aggrada,
Alcun guerrier nemico io non ricuso.
Così gli disse; ed ei punto non bada:
Va, dice ad un araldo, or colà giuso;
Ed al duce de' Franchi, udendo l'oste,
Fa queste mie non picciole proposte:

XV

Ch'un cavalier, che d'appiattarsi in questo
Forte cinto di muri a sdegno prende,
Brama di far con l'arme or manifesto
Quanto la sua possanza oltra si stende;
E ch'a duello di venirne è presto
Nel pian, ch'è fra le mura e l'alte tende,
Per prova di valore; e che disfida
Qual più de' Franchi in sua virtù si fida:

XVI

E che non solo è di pugnare accinto
E con uno e con duo del campo ostile;
Ma dopo il terzo, il quarto accetta, e 'l quinto,
Sia di vulgare stirpe, o di gentile:
Dia, se vuol, la franchigia, e serva il vinto
Al vincitor, come di guerra è stile.
Così gl' impose; ed ei vestissi allotta
La purpurea dell' arme aurata cotta.

XVII

E, poichè giunse alla regal presenza
Del principe Goffredo e de' baroni,
Chiese: O signore, ai messaggier licenza
Dassi tra voi di liberi sermoni?
Dassi, rispose il capitano; e senza
Alcun timor la tua proposta esponi.
Riprese quegli Or si parrà, se grata
O formidabil fia l'alta ambasciata.

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