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A che riuscirà quefta tua cofa?

Và pel magnano in tanto tu. M. Oimè,
Non tanta fretta, udite il refto.

Lafciatelo finir, ch'i mi troval

S. Deh

Già anch'io 'n una cala. F. Efcine tofto,
Che tu m'hai messo il cervello a partito
Con que' danari sotterrati. M. E'ci ha peggio,
Quella tresca di poi fù ogni notte,
Efi fentiva, e fi fente per cala
Spello fpello romori il di e la notte,
Com'è batter fineftre e porte, rompere
Mura, tramutar caffe, batter 'armi;
E si fatte cofette, che alla fede
Caverebbono il vin del capo, à chi
Ve l'havelle, e farienlo fpiritare.

F. Deh voi, che cofa è quefta. M. Federigo

(Per veder donde veniva la cofa)

M. Eccetto

Ci fè venire certi Frati, e fece
Far più di mille fcongiuri, mà tutto
Pur di fegreto, accioche fuora non fi
Spargelle quefta cofa: ma si il tutto
Riufci vano. F. Che lo credo.
Che lo fpirito un tratto pur rispose
Quel che gli haveva detto Federigo;
Per il che dette mano a far çavare
Giù nelle volte per trovar quell' ofsa;
Perche e' dicevon, che facendo il tutto

Portar in chiefa, fi potrè fermare

Que' romori. F. Come cavar nelle volte?

In quali. M. In tutte. F. In tutte? E quanto andafti

A dentro? M. Poco men di quattro braccia.

F. Oimè, e' mie'danari. E che trovafti? M. Niente. F. Giù nella volta di mezo Non trovafti niente? M. Nulla. F. Chiaro?

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M. E' certo. F. E fi vi andasti tánto adentro?
M. Cofi fta. F. Come pentole di terra?

M. Nè pentole, nè tefti, F. Oh fciagurato
A me, i fon rovinato. M. Oh la và bene,
E 'comincia a dar fede a questa favola, u. s. w.

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Giambattista della Porta, geb. zu Neapel im Jahų 1545, gest. daselbst 1615, gehört zu den gelehrresten Italiås nern des sechszehnten Jahrhunderts, der sich auch in mehs rern Wissenschaften, besonders in der Philosophie und Nas turkunde, als Schriftsteller auszeichnete, Sein Werk über die Physiognomie hat ihn auch auffer Italien am meisten bekannt gemacht. Seine Komödien zählt man immer noch zu den bessern der åltern Epoche, vornehmlich wegen des kors rekten und gut geführten Dialogs. Ihrer find folgende vierzehn: I due Fratelli Rivali I due Fratelli Simili La Tabernaria La Trappolaria

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La Chiap

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La Sorella La Turca

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La Furiofa.

Eins der besten unter diesen Lustspielen, und wie fast -affe die übrigen, ein Intriguenstück, ist die Olympia. Sie ist die Tochter einer Neapolitanerin, Sennia, deren Ges mahl mit seinem Sohre in die Gefangenschaft der Türken gerathen, und seit zwanzig Jahren abwesend ist. Olym pia hat sich während ihres Aufenthaltes bei ihrer Tante zu Salerno in einen liebenswürdigen, aber unbegüterten, juns gen Mann, Lampridio verliebt. Ihre Mutter besteht indeß nach ihrer Zurückkunft darauf, daß fie einen reichen und prahlerischen Offizier heirathen soll.

Sie hat sich einen
Aufschub

Aufschub von drei Tagen ausgebeten, der jeßt zu Ende geht. Um sie aus der Verlegenheit zu ziehen, hat ein Bedienter, Mastica, vorgebliche Briefe aus der Türkei erdichtet, wo rin der Sohn der Sennia, Eugenio, seiner Mutter den Tod seines Vaters, seine eigne Befreiung, und seine nahe bevorstehende Ankunft, meldet. Für diesen Eugenio muß fich Lampridio ausgeben, der in folgender Scene bewills tommt wird;

SENNIA OLIMPIA, LAMPRIDIQ.

Sen. O Eugenio, pianto e fofpirato si lungo tempo!

Lam. O Sennia madre, che l'odor del fangue mi ti fa conoscere per madre!

Sen. Olimpia, abbraccia il tuo fratello; come ftai cosi vergognofa?

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Lam. O Sorella, dolciffima anima mia!

Olim. O amato più che fratello, non conosciuto ancora!

Sen. Io tutta ringiovenifco, ed in havervi così fubito acquistato figlio mio, parini che t'habbia hor partorito. Mira, Olimpia, come nel fronte e ne gl'oc chi ti raffomiglia tutto,

Olim. Il refto dovea affomigliare a fuo padre,

Sen. Non pigliar à trifto augurio, figluol mio, ch'io pianga, che l'allegrezza, ch'io fento di tua venuta, tanto più cara, quanto men la sperava, mi fa cader le lagrime da gl'occhi.

Lam. O madre, io ancora non poffo tenermi, Sento il cor liquefarsi di tenerezza; ragguagliami! è viva Beatrice mia Zia, di che molto fi ricordava Theodofio mio padre?

Sen. Vive, e ftà maritata in Salerno molto ricca,
Lam. Eunemone fuo fratello, come vive?

Sen.

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Sen. Son dieci anni, che fi morio.

Lam.

Duolmi di non poterlo veder vivo. Dite

mi, mia forella Olimpia è maritata?

"Sen. L'habbiamo già per maritata; e questa sera habbiamo destinata alle fue nozze; haremo doppia allegrezza.

Lam. Poichè non è maritata fin adeffo, lasciate, che ancor io ne habbi la parte della fatica: me infor merò di coftui, poi informerò benę mia forella del

tutto.

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Olim. Mi contento che mio fratello faccia di me ciò che gli piace.

Sen. Prima che entriate in altro ragionamento, parmi venghiati à ripofarvi, che per la fatica grande, Chavete fopportata la notte e'l giorno, e flimo che non poffiate regervi in piedi.

Olim. Andiam, fratel mio.

Sen. Quante carezze ti fà Olimpia il tuo fratello! Olim. Oh! come è amorevole! Deve effere ufato in quelle parti della Turchi, dove i fratelli e forelle devono conversare con questa domeftichezza.

Sen. Vò innanzi, Eugenio, figliuol mio.

Lam. Ecco il voftro fchiavo in catene, che ha elleguito, quanto dalla fua padrona gli è ftato impofto, acciò conofca l'ardentiffimo defiderio, c'ho di fervirla, e noftri il fimolacro del cor fuo, qual stia avinto intorno di catene.

Olim. D'hoggi innanzi cominciarò ad havermi in più ftima, e gloriarmi di questa mia bellezza: poiche è piaciuta a perfona tale, che è pofta in tanto pericolo per amor mio.

Lam. La contentezza che ho di mirarvi à mio modo, e di fervirvi, feria stato ben poco, fe l'havessi comprata con pericoli di mille vite.

Olim. In me non conofco tal merito, mà ringra zio di ciò il cortese animo voftro.

Lam. Ringraziatene pur colui, che vi creò di tal pregio, che sforza ogn'un che vi vede a fervirvi ca honorarvi.

Olim. Defidero non effere intesa da vicini, ò da quei di casa, e fopra tutto bramo vedervi sciolto da queste catene, che temo non v'offendano, che a quefto collo delicato, e a quefii fianchi ci convengono le brac cia di chi vi ama a par dell'anima e della fua vita., in Lam. L'offefa me la fate ben voi, anima mia, con dir che quefte m'offendano; che mentre mi ftringono appò voi, mi fanno più libero dell' iftefla libertade; e che fia vero, ecco, che da me stesso son venuto a farmevi prigione. Mà quelle che mi firingono nell' amor voftro, fempre, ch'io penfaffi difciorle, m'allacciarebbono in duri ceppi, ed in amariffima prigione.

Olim. Ho tanta fperanza ne'meriti dell' amor mio, che con mille catene più dure di queste ci leghe remo con nodi d'infeparabil compagnia, ne ballera alcuno accidente schiodarle, se non la morte.

Lam. O Dio, non è questa Olimpia mia? non è છે quefta la fua figura angelica? non la tengo abbracciata io? O forfe fogno, come ho foluto fognarini altre volte? Olim. Sento genti venir di fù. Caminate, fra

tello.

Lam. Andatemi innanzi, forella.

Olim. Io vò, fratello cariffimo.

Lam. Vi feguo, forella. O dolciffima conver

fazione!

Eine Zeit lang gelingt dieser Betrug; und Lampridio wird für den zurück gekehrten Eugenio gehalten. Auf eins mal aber erscheint dieser wirklich mit seinem Vater Theodes

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