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ufo gazza, faria per torvi il capo col provarvi, che due negativi fanno una affermativa, e per dirvelo in carità, fe volete, che le vostre figlia veftino, e mangino lauri e mirti, datele loro.

ne,

Lif. Staremo freschi.

Hip. Il filofofo in barba horrida, in faccia squaida, in andar grave, ed in toga frufta, faria, trionfar la moglie con dire, che Ariftotele non concede a Platoche il chaos fia fenza forma, mà che pregno de le idee partorifce l'univerfo, il quale al fuo tempo per effer fatto, è compofto di forma, e di materia fi rifolve. Io gli faccio montare in colera, quando gli dico, che havrei caro d'inteuder l'hora, che il predetto chaos è di parto per diventargli compare.

Lif Ah! ah! ah.

Hip. L'aftrologo verrebbe a noia a la importunità col fuo affermare, che Aries, Leo e Sagittario fiano di natura ignea; Tauro, Virgo e Capricorno. di terrea; Gemini, Libra ed Acquario di aërea; Cancer, Scorpio é Pifces di acquática.

Lif Anfanamenti!

Hip. Io non faccio per mordere niuno; mà folo, Dio nel perdoni, una mandra d'infenfati. E per quefta carità di favellare, che ufiamo hora infieme, che › Medici, Legisti, Musici, Poeti, Philofophi, Astrologi ed Alchimifti, tengono de la lega de li articoli circa il lor effere, e voci e penne. Di poi hanno certe cere di cane, certi sbarleffi hebraici, certe perfone fnodate, che in conscienza fariano paura a le maschere.

Lif. Ah, ah, io mi rido, che hebbigià volontà d'un parente, che fapeffi imbrattar carte, parendomi una cofa degna il vedere il nome di coftui, e di colui ne le tavolette attaccati; leggendoci opera nuova di

meller

messer tale, e di meffer quale, col fuo gratia e privilegio appreffo.

Hip. I titoli strani, che in fù i monti de fogli dipingano, gli scrivacchia leggende, fi poffono comparare a mucchi de le cimice, che ti tempeftano le lettiere fi in carità: e più vi dico, che il proprio odore, che esce de le predette sporchezze, danno di se fi fatte fantafini, ed in verità, che cio dicendo, biafimo me medefimo, per effermi già dilettato di si vane vanitade. Lif Torniamo.

Hip. Io non dico, che il configlio fia occhio del futuro, perche voi notiate cotal fententia, mà per non parermi, che vi impacciate con garzonastri per la bocca, che gli puzza di latte, ne co giovani per la furia de la etade, con uno di mezza taglia, per non confarfi nel tempo, ne con un vecchio per gli fcandali, che potrebbono occorrere ne la carnalità de voluntadi.

Lis. E forza che ci pensate un poco fuso.

Hip. Faccio ben cotesto conto.

Lif. Verrebbevi mai voglia di fare un poco di colationcina?

Hip. Che fo io?

Lif Voglio che la facciate in ogni modo. Andiam di quà per la stalla, che vo mostrarvi uno bel mulettino. E tu, Guardaballo, va, 'ordina la tavola.

IV.

Cecchi.

Unter den italianischen Lustspieldichtern des sechszehnten Jahrhunderts ist Giammaria Cecchi, ein Florentiner,- (geb. 1517, gest. 1587,) einer der berühmtesten. Vorzugsweise gab man ihm den Beinamen Il Comico. Seine Lustspiele, die meistentheils Nachahmungen der Plautinischen und Terens

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zischen, und in Versen geschrieben sind, haben das Verdienst einer sehr korrekten Sprache, eines natürlichen Dialogs, eines regelmäßigen und nicht allzu verwickelten Inhalts, und einer mehr als gewöhnlichen Sorgfalt in Beobachtung des Charakteristischen. Um fie ganz zu verstehen, muß man ins deß mit der Mundart der Florentiner und ihrem so ausges zeichneten Reichthum an sprüchwdrilichen Redensarten und Anspielungen, nicht ganz unbekannt seyn. Er war ein fruchtbarer Schriftsteller; und ausser den von ihm gedruckten Schauspielen werden noch mehrere, nebst andern poetischen Werken, in der Handschrift aufbewahrt *). Jene, im Drack erschienenen, find: La Dote - L' Affivolo La Moglie Il Servigiale La Stiava

Il Corredo

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Das erste dieser Stücke, La Dote **) ist eine Nacht ahmung des Trinummus und der Mostellarià des Plautus. Mit der oben aus diesem lehtern Lustspiele ausgezognen Sces ne vergleiche man folgende des Cecchi, aus der zweiten Scene des vierten Akts, Filippo ist hier Theuropides, der zurück kommende Alte, der einen Bedienten, Scaccha, bei sich hat, und Cranio, der ihm sein Haus als von Gespens stern besessen verdächtig macht, heisst hier Toro:

Mo. Non andar, nò, Eh, padron mio, in cafa Non fi può più ne star, ne entrare. F. Perchè? Che vuol dire ? M. La difgrazia noftra. F. Forse E rovinato qualche palco? M. Dite

Piano,

*) Ein Verzeichniß desselben steht in den Elógj degli Uomini illuftri Tofcani, T. III. p. CCXL.

**) Einen Auszug und eine Kritik dieses Stücks s. in Riccoboni, Hift. du Th. Ital. T. II. p. 225 fl. ·

Piano, no Signor nò.

F. Che ha dunque? M. E piena.

Di spiriti. F. Di fpiriti? M. Oimè,

Bite piano, che alcun non fenta. Sca. Canchero,
Spiriti in là? M. Deh padron mio levianci
Qui della strada, andiancene quà in chiefa.
F. Ia ftò ben qui, di fu di questi spiriti.
M. S'io aggiro costui, i son d'assai,
Sappiate padron mio, che in questa casa

Ci è stato ammazzato uno. F. Chi ce l'ha morto?
M. Colui da chi voi la compraste, ò prima,

E non fi può faper di certo il tempo,
Che e' no ha voluto palefare,

Mà il fatto folo, F. Chi l'ha palefato?
M. Lo fpirito per forza di scongiuri.

Sca. O i farò venuto a star col diavolo.

F. Scongiuri? e chi è venuto a scongiurarlo? O come cominciò quefta facenda?

M. Il voftro Federigo era guarito

A pena di quel mal, ch'i v'ò gia detto,
Quando una notte i lo fento, che e'grida
A testa, i corro in camera, e lo trovo
Nel mezo dello spazo quafi morto.
I lo porto in ful letto, e lo rinvengo
Il me' ch'i poffo, e lo dimando che
Cofa fia ftata? e dice, che dormendo,
Anzi defto, ma al buio havea veduto,

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Sca. Sarà di razza di Gatti, che veggano Al buio. M. Un' huomo tutto fanguinofo, Che gli havea detto, quanto credi tu Tenermi fotterrato in questa cafa?

(I piango ancor quand' io me ne ricordo.)

F. Eh che doveva haver bevuto troppo, Sciocchi (diffi ben'io) veduto al buio

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Un'huomo fanguinolo, eh fanciullacci!
M. Udite il refto di grazia. F. O di fu
E fempliciotti, fe fenton per cafa
Una gatta faltare, egli è un spirito;
O guardati da vivi. M. E fi gli diffe,
Come per conto di non fò che somma
Di danari, che erano già stati
Sotterrati, quà dentro. F. Sotterrati
Danar' quà dentro? e da chi? M. Da non fò
Che fuo parente. F. Parente di chi?

M. Di quel morto e'pativa tanto, e che
Voleva far tanto male, a tal che
Federigo era faltato del letto

Per fuggir via. F. Che novellata è questa ?
E' farà stato cotto. M. Eh padron mió,
Voléife ciel, che la fi foffe ferma,
Ne fe ne haveffe havuto altri rifcontri
Più chiari, ancora, Io mi credetti, che
E' folle ftato un fogno, o fi qualchuno,
Che havelle voluto farli un poco
Di paura, però tofto ch'io l'hebbi
Rimesso a letto, dò la cerca a tutta
La cofa, nè trovando nulla, torno'
A dormire. Nè si tofto poló il capo,
Che Federigo fa'l verfo medefimo,"
Io corro là, e mentre ch'io domando,
Che havete voi? eio mi fento dare
Un guanción, ch'i balzai di qui colà.

F. Dove vi haver bevuto anche tu troppo,

Che tu giravi, M. E ci ftette anco il fegno
Due mefi, padron mio, lafciate dire

Chi dice, che gli fpiriti fon'aria,

E che non hanno corpo, perche a'colpi,

Che danno, egli è di piombo. F. E di tutto in tutto

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