ken angefangen hat, erklärt er den Wein von Montepul ciano für den König aller Weine.“
Dell' Indico Oriente
Domator gloriofo il Dio del vino Fermato avea l'allegro fuo foggiorno Ai Colli Etrufchi intorno; E colà dove Imperial Palagio L'augufta fronte inver le nubi innalza, Su verdeggiante Prato
Con la vaga Arianna un di fedea,
E bevendo, e cantando
All bell' Idolo fuo cofi dicea.
Se dell' uve il fangue amabile Non rinfranca ognor le vene Quefta vita è troppo labile, Troppo breve e fempre in pene.
Si bel fangue è un raggio accefo Di quel fol che in ciel vedete E rimafe avvinto e prefo Di più grappoli alla rete.
Su fu dunque in quefto fangue Rinoviam l'arterie e i mufculi; E per chi f'invecchia e langue Prepariam vetri majusculi. Ed in fefta baldanzofa Tra gli scherzi e tra le rifa Lasciam pur, lasciam paffare Lui che in numeri e in mifure Si ravvolge e fi confuma E quaggiù Tempo fi chiama,
E bevendo e ribevendo
I penfier mandiamo in bando.
Ch' ha quel color dørè?
La Malvagia farà
Ch' al Trebbio onor già diè, Ell' è davvero, ell' è Accostala un pò in quà, E colmane per me Quella gran coppa là, E buona per mia fè, E molto à grè mi va, Io bevo in fanità Toscano Re, di te,
Pria ch' io parli di te, Re faggio e forte Lavo la bocca mia con queft' umore, Umor, che dato al fecol noftro in forte Spira gentil foavità d'odore.
Gran Cosmo afcolta. A tue virtudi il cielo Quaggiù promette eternità di gloria, E gli Oracoli miei, fenz' alcun velo Scritti già fon nella immortale Iftoria. Sazio poi d'anni e di grandi opre onufto, Volgendo il tergo à questa bassa mole Per tornar colaffù, donde fcendefti, Splenderai luminofo intorno à Giove. Tra le Medice ftelle aftro novello E Giove fteffo del tuo lume adorno Girera più lucente all' Etra intorno.
Quefto nappo, che fembra una pozzanghera, Colmo è d'un Vin fi forte e fi poffente, Che per ifcherzo baldanzolamente Sbarbica i denti, e le mafcelle fganghera, Quafi ben gonfio e rapido torrente Urta il palato e il gorgozzulle inondo; F precipita in giù tanto fremente, Ch' appena il cape l'una e l'altra fponda Madre gli fu quella fcoscefa-balza,
Dove l'annofo Fiefolano Atlante Nel più fitto meriggio e più brillante Verfo l'occhio del lole il fianco innalza. Fiefole viva, e feco viva il nome
Del buon: Salviati ed il fuo bel Majano, Egli fovente con devota mano
Offre diademi alle mie facre chiome: Ed lo lui fano prefervo
Da ogni mal crudo e protervo;
Per mia gioja tengo accanto
Quel grand' onor di fua real Cantina, Vin di Val di Marina
Ma del Vin di Val di Botte Voglio berne giorno e notte; Perche fo che in pregio l'hanno Anco i maeftri di color, che fanno. Ei da un colmo bicchiere e traboccante In sì dolce contegno il cuor mi tocca ridirlo non faria baftante
Il mio Salvin, ch' ha tante lingue in bocca. Se per forte avverrà, che un di lo affaggi Dentro a' lombardi fuoi graffi Cenacoli Colla Ciotola in man farà miracoli, Lo fplendor di Milano, il favio Maggi, Il favio Maggi d'Ippocrene al fonte Menzognero liquore unqua non bebbe, Nè ful Parnafo lufinghiero egli ebbe Serti profani all' onorata fronte. Altre ftrade egli corfe; e un bel fentiero Rado o non mai battuto apri ver l'Etra, Solo à i Numi e agli Eroi nell' aurea Cetra Offrir gli piacque il fuo gran canto altero.
Ma fe Giara io prendo in mano
Cofi grato in fen mi piove
Ch' Ambrofia e Nettar non invidio à Giove:
Or quefto che ftillò d'all' uve brune
Di vigne faffofiffime Toscane
Devi, Arianna, e tien da lui lontane Le chiomazzurre Najadi importune; Che faria
Gran follia
E brutiffimo peccato
Bevere il Carmignan, quando è inacquato.
Chi l'Acqua beve
Mai, non riceve
Grazie da me :
Sia pur l'acqua o bianca, o fresca
O ne' Tonfani fia bruna:
Nel fuo amor me non invefca, Quefta fciocca ed importuna Quefta feiocca, che fovente Fatta altiera e capricciofa Riottofa ed infolente Con furor perfido e ladro Terra e Ciel mette à foqquadro. Ella rompe i ponti e gli argini E con fue nembose afpergini, Sui fioriti e verdi margini Porta oltraggio à i fior più vergini; E l'ondofe fcaturigini Alle moli ftabiliffime Che farian perpetuiffime Di rovina fon origini. Lodi pur l'acque del Niló Il foldan de' Mammalucchi Ne l'Ifpano mai fi ftucchi D'innalzar quelle del Tago; Ch' io per me non efon vago. E fe à forte alcun de' miei Foffe mai cotanto ardito,
Che beveffene un fol dito, Di mia man lo ftrozzerei. Vadan pur vadano à fuellere La Cicoria e Raperonzoli Certi magri Mediconzoli,
Che coll' acqua ogni mal penfan di espellere. Io di lor non mi fido,
Nè con effi mi affanno, Anzi di lor mi rido,
Che con tanta lor acqua io fo ch' egli hanno Un cervel cofi duro e cofi rondo,
Che quadrar nol potria nè meno in pratica Del Viviani il gran faper profondo Con tutta quanta la fua matematica.
Quali ftrani capogiri
D'improvifo mi fan guerra? Parmi proprio, che la terra Sotto i piè mi fi raggiri.
Ma fe la terra comincia à tremare, E traballando minuccia disastri, Lafcio la terra, mi falvo nel mare.
Vara vara quella Gondola
Più capace e ben fornita, Ch'è la noftra favorita, Su quefta Nave
Che tempre ha di cristallo E pur non pave
Del mar crucciofo il ballo, Io gir men voglio Per mio gentil di porto, Conforme io foglio Di Brindisi nel porto; Purchè fia carca Di brindifevol merce Quefta mia Barca. Su voghiamo Navighiamo
Navighiamo infino à Brindifi, Arianna, Brindis, Brindifi!
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